lunedì 4 gennaio 2010

Ed io tra di noi…che vi mangerei


Ma quante persone ci sono dentro ad una sola?
Metti quelli che si drogano, per dire. Ho sempre fatto fatica a capirli. Cercano di evadere in differenti dimensioni? Smaniano di tuffarsi in nuove personalità?
Ma prego, si accomodino, siore e siori! In “io” ci sono mille “me”: ne volete qualcuno in prestito?

Ci pensavo giusto in questi giorni di ripresa dei ritmi ordinari, reduce dal periodo di ego-elefantiasi festiva.

Nella vasta gamma dei “me” possibili, ci sono varietà di “me” materiali, ed assortimenti di “me” spirituali. Ossia, trasformazioni di “me” dettate da discrimini chimico-fisici, e caleidoscopiche mutazioni di “me” orchestrate invece da impalpabili scambi col reale.
Nel primo gruppo rientra di certo anche la sventagliata ad arcobaleno di “me”, molto prosaicamente provocata (“prosaicata”?) dalle abbuffate e dalle mollezze festive.
Stando a dotte fonti ancorate a saldissime basi culturali, pare che le date delle festività siano fissate sulla traccia di remotissime coincidenze astronomiche, solstizi di su, equinozi di giù. Molto più bovinamente, sono convinto che il ritmo dei festeggiamenti che cavalcano l’anno (Natale, S. Stefano, Capodanno, Befana) si sia invece andato a commisurare lungo i secoli sul grado di sopportazione esistenziale del gozzovigliatore medio. Da Natale alla Befana, passa il tempo giusto calcolato per non sfociare nell’alienazione gastro-identitaria.
In passato, dopo aver attraversato certe sessioni di natalizia apnea “gastronomico-poltronesca-cerebro-vacante”, mi sentivo come il protagonista di “2001: Odissea nello spazio”, nella leggendaria scena finale del film. Complice la pletora di degustazioni intensificate a velocità supersonica, nel volgere di pochissimo tempo, venivo risucchiato nel mutevole flusso dei mille “me” a condensazione ravvicinata, sino a ritrovarmi ad un passo dallo smarrimento eno-gastro-esistenziale, ad un gradino dall’overdose da sollecitazioni papillari, ad un soffio dal collasso assaggiante.

Il periodo festivo natalizio ti induce a riconsiderare con estrema attenzione l’aforisma «…Noi siamo ciò che mangiamo…», riveduto magari in senso lievemente più suinesco di quanto non fosse nelle intenzioni del Ludovico Feuerbach in persona.
C’è un diverso “me” che si annida dietro ogni antipasto ingurgitato, una nuova sfavillante personalità che fa capolino da un piatto fumante di tagliatelle, un inedito risvolto di “io” avvolto nel cartoccio della trota al forno.
Ti rendi proprio conto che l’attività del mangiare ti cambia, inzuppa il tuo “io” nella sequela di metamorfosi degli svariati “me” più impensati e sorprendenti.
Non solo dunque «…siamo ciò che mangiamo…», ma viene quasi da aggiungere che «…più mangiamo, più siamo…». L’avvicendamento dei gusti in bocca è un viaggio fascinoso attraverso i più svariati modi di essere se stessi.
Secondo alcuni, l’affinità morfologica fra le circonvoluzioni del cervello e le labirintiche spire intestinali, sottintenderebbe anche una simbolica correlazione operativo-funzionale fra i due organi. Ora, lasciando da parte per un attimo eventuali battute di bassa lega sulle idee di m… che certe menti sono in grado di partorire, ho sempre trovato questa teoria ricca di estremo fascino.
Se dunque l’assaporare pietanze su pietanze è paragonabile all’apprendere, al conoscere nuovi concetti, allo spaziare su originali orizzonti del sapere gustativo, il lavorio intestinale è invece rielaborazione mnemonica e meditativa, è rimuginare di pancia, è stratificazione di sapienza di trippa.
Sarà stato allora sulla scia di queste suggestioni, che poc’anzi, praticamente senza rifletterci, mi è venuto da chiamare l’esperienza gastronomica natalizia un’«apnea». Perché è proprio quasi senza fiato che ti sembra di sentirti mentre passi attraverso quel turbinio di “me” bolliti, lessati, salmistrati, farciti, impanati, arrostiti, ripieni, fritti, soffritti, mantecati, caramellati o pralinati.
Ed una volta terminate le feste, la ripresa dei ritmi normali, del tran tran del brodino ristretto, è esattamente identica alla spasmodica “ripresa” di fiato a cui è costretto il sub riemerso di botto dalla sua anaerobica planata a pelo dei fondali gastronomici tropicali.
Con un “me” misero e striminzito, un “me” fatto col dado, che però è purificazione e ristabilimento di equilibrio della nostra multiforme “personalità di pancia”.

*******

Avvertenza per chi non ha mai visto "Trainspotting": il seguente filmato contiene anche immagini piuttosto dure. Nella convinzione più piena della sua assoluta valenza estetica (ma questo non lo scopro di certo io...), è stato inserito qui solo in ossequio alla logica secondo la quale l'arte dell'andare per pensieri si nutre del "sincretismo" espressivo più articolato e dello spirito critico più libero. In ogni caso, se non ve la sentite, rinunciate alla visione.



19 commenti:

Marisa ha detto...

Caspiterina!
Sinceramente non avevo assolutamente considerato questo aspetto della condizione "spirituale" dell'uomo. Sicuramente siamo fatti di piccoli frammenti claudicanti che si adattano alle circostanze o alle persone ma mai avrei pensato che fossero il risultato di quello che mangiamo.
Oggi ho la personalità di un polpettone, stamani di un cannolo siciliano, domani meggio rimanere leggeri di un brodino di verdure. Molto buffo ma anche molto profondo come la capacità compulsiva di abbuffarsi per riempire quel vuoto assoluto che ci siamo scavati dentro e di cui raramente vediamo il fondo.
Piacere di leggerti. Ciao

farlocca farlocchissima ha detto...

ehm l'unica cosa seria da dire mi pare sia: burp! :-)

video terribile e bellissimo, spero solo il riemergere dal coma alimentare sia meno terribile di quello da una fase tossica della vita.

a parte le scemenze hai scritto un gran bel post cerebro-intestinale. bacio cara chimera multipla

Gillipixel ha detto...

@->Marisa: ehi, Marisa...ma piacere mio di essere commentato da te, e benvenuta! :-)
Nella tua chiosa hai detto cose che completano benissimo le mie...
non avevo ad esempio toccato il tema della problematicità di molti rapporti col cibo...
"Caspiterina" è assolutamente delizioso :-) grazie per aver esordito così :-)
Ciao, e torna a farmi visita, se ti va, che mi fa molto piacere :-)

Gillipixel ha detto...

@->Farly: hai visto, Farly? A ben considerare, siamo una super chimera potenziata, perchè a mettere insieme i tuoi "te" con i miei "me", siamo un sacco di gente insieme :-)
Già, un bellissimo film, "Trainspotting", pur se tremendamente micidiale...
Erano similitudini figurate, per fortuna, quelle che volevo suggerire :-)
Grazie, i tuoi complimenti sono sempre di fondamentale importanza, e...salute!!! :-D
Baci medievali :-)

maria rosaria ha detto...

gil, sei superbo! i contenuti dei tuoi post sono sempre di grande interesse, ma l'esposizione, la dialettica, la maniera di trattarli sono la vera grande risorsa di cui disponi. ad esempio come hai descritto e confrontato le due diverse funzioni, quella cerebrale e l'altra intestinale rispetto al cibo, altro che senza fiato mi hanno lasciato! sei un poeta, metti lirismo anche nelle cose più semplici ed impensate.
fantastico!
bacio

Gillipixel ha detto...

@->Maria Rosaria: Gulp...ehm...coff, coff...pant... :-) EmRose, hai deciso di farmi arrossire come una tenuta coltivata a San Marzano? :-)
ehehhe...scherzo...ma grazie infinite, mi dice sempre cose carinissime e preziose, che mi lusingano come un armadillo moscovita :-)
...sono complimenti che danno forza narrativa, come la pozione di Asterix :-) mi spingono a voler scrivere ancora, sempre cose nuove...anche se questo per molti potrà suonare come una minaccia :-)
Grazie ancora con tutto il cuore, non ho parole...e per ora ti saluto con tanti baci tardo-rococò :-) più alcuni abbracci art-decò :-)

Vanessa Valentine ha detto...

Nemmeno io ho mai capito perché la gente si ostini a drogarsi (poteva essere fascinoso nell'800, se eri un intellettuale contro e in fuga dal mondo, ma adesso? con il mondo che sta seduto sul tuo comodino e non ti lascia un minuto, dove vuoi andare?).Comunque, ognuno faccia pure le sue scelte.
La teoria dello stomaco come antico cervello l'ho letta anch'io, non mi ricordo ovviamente più dove o quando, ma l'essenziale è che è una teoria dannatamente valida. A chi infatti non è capitato, dopo una sventurata serata alcolica, di avere alcune difficoltà nella gestione delle risorse e di ritrovarsi, in seguito, totalmente incapaci di mangiare ancora la disgraziata, innocente pietanza che era stata infaustamente accoppiata alla bevuta? Come se lo stomaco dicesse, eh, no, grazie, io questa roba non la voglio più. L'alcol riesci a berlo ancora, ma la parmigiana non la vuoi vedere nemmeno in foto.E' un cervello violento e istintivo, emozionale ed emozionante. Se lasciamo che ci parli e ci guidi, in quali lande incredibili ci porterà! E farà tutto lui! Tu devi solo stare seduto e gustarti la vita.
Questo è un buon motivo per non drogarsi:tenersi un palato sensibile e miracoloso, uno stomaco capiente e sbarazzino, una vita radiosa e un pancino arrotondato ma carino...;)
(Trainspotting, comunque, è un bellissimo film).
Gilli, possa tu andare incontro, nella vita, sempre a pantagrueliche mangiate e libagioni!;)))

Gillipixel ha detto...

@->Vale: miglior augurio non avrei potuto ricevere, Vale :-) Grazie proprio di tutta pancia, è proprio il caso di dirlo :-) e grazie per la bella chiosa che hai portato al tema...la mia maldestra esperienza mi ha portato ha pensare che ci sia una sorta di "educazione al vizio", nel senso che il confronto con tutto ciò che il nostro corpo può assorbire va esattamente imparato con l'esperienza...solo se conosci gli effetti di ciò che introduci, li saprai dirigere oltre che digerire, controllare e magari girare a tuo favore, traendone il piacere fino al punto che te lo sa dare, ma fuggendo dal limite oltre al quale iniziano il dolore ed i guai seri...
Dal ragionamento esulano ovviamente tutte le droghe "indomabili", come coca, eroin e compagnia (quelle ti fottono in ogni caso), ma possono rientrare le droghe "domabili", come ad esempio l'alcol o la pigrizia :-)
Trainspotting è assolutamente molto bello (così come il libro di Welsh)...sono di quei film in cui l'analisi della violenza e dell'abbruttimento umano, riescono a sfociare in lidi poetici...un altro è "Full metal jacket", ad esempio...
Infine, direi che la pancetta arrotondata, senza sbordare nell'eccesso, è la benedizione della donna sensuale, è un tocco di classe che rende la sua grazia più completa, umana ed accogliente :-)
Insomma, per concludere: che Pantagruele e Lucullo siano con noi, Vale :-D
Ciao :-)

ANTONELLA ha detto...

Il cibo è naturalmente come dici tu legato all'essere che siamo ma soprattutto a ciò che siamo in grado di contenere.Infatti quando si è pieni di vita si mangia di meno invece l'insaziabilità è dovuta ad una carenza insopportabile.
Allo stesso modo crtedo per la droga la cui assimilazione da l'llusione di riempire il vuoto con cose che fanno godere. Ma naturalmente è anche questo incolmabile. Quindi più siamo vuoti più mangiamo.
E più mangiamo e più ci trasformiamo in cicciotti delusi perchè non soddisfatti. A proposito: quanto pesi?

Gillipixel ha detto...

@->Antonella: certo, Anto, forse non sono stato troppo lineare nel mio sproloquio :-)
Non dicevo che abbuffarsi sia la soluzione...constatavo solo che il periodo festivo, con la sua abbondanza di sapori e di pietanze, ci fa attraversare tante personalità...ma poi, per fortuna, si torna a mangiare normale e con meno personalità, ma più rilassati :-)
Ecco, da alcuni annetti a questa parte, peso intorno agli 80 kg, kg più kg meno :-)
Baci klimtiani :-)

Asha Sysley ha detto...

Credo la essere l'evento più difficile non quello di accettare il nostro mutevole essere, ma il nulla. E penso sia proprio questo che spinge le persone non a provare ciò che non si è o qualcun'altro. Ma a "provare" nel vero senso della parola. A volte il nulla ti avvolge, così stretto così forte e non riesci a liberarti. E come liberarsi dal nulla se non lo si trova. Si entra così in un'altra dimensione, chimica, nella quale si può finalmente riconoscere la propria casa fino a confondere la realtà con tutto quello che la nostra mente crea. E tutto questo diviene postosto e parallelo fino ad una totale inconsapevolezza. Il voler fuggire da ciò che si è, dalle emozioni che non si provano più, dalla monotonia di questo vivere che ad una certa età ti fa credere che non ci sia altro che ti possa entrare dentro (non di nuovo, non di nuovo). E non sei più disposto a condividere. Il piacere te lo prendi da solo, finquando si mischia. Tramutandosi in morte. Se non apparente, chimica.

(n.b. parola di verifica del commento UNREAL. Il caso non esiste...)

Paolo ha detto...

Gran Marpione
semplicemente un saluto...
scappo te lascio che stai in Buona Compagnia:-)))

Gillipixel ha detto...

@->Asha e Paolo: amici, sono ko per l'influenza, mi sono collegato solo un attimo ma non connetto io :-) vi risponderò appena mi sarà tornato un minimo di raziocinio, se mai l'ho avuto...grazie per ora, e a presto :-)

Michele ha detto...

ciao
Michele pianetatempolibero
seguo da poco il tuo blog se ricambi mi fa piacere
ciao
http://pianetatempolibero.blogspot.com/

Gillipixel ha detto...

@->Asha: commento assai impegnativo, questo tuo, Asha...allora, vediamo, che cosa dire?

Il nulla, filosoficamente parlando è categoria alquanto ostica, quasi un non-sense.
Posto che l'essere "è" (e su questo possiamo essere tutti concordi, anche assumendo il minimo gradino di essere concepibile, col cogito cartesiano, ossia l'essere del "se stesso"), per accordare al nulla un qualche tipo di esistenza (e già qui la faccenda puzza forte...) si dovrebbero presupporre possibili passaggi dal nulla all'essere e viceversa. Ora, questo sarebbe possibile in una prospettiva extra-razionale, metafisica (quella concessa dalla figura di un Dio creatore, al quale nessuno ci vieta di credere, sia ben chiaro), ma nell'ambito delle possibilità filosofiche in senso stretto, la cosa cigola parecchio.
Per paradosso mi è venuto da pensare che nel corso della storia c'è stata gente che ha sofferto così tanto che, per dirla in modo folkloristico, ci avrebbe messo la firma per poter essere precipitata all'istante nel nulla.
Ma il fatto è che la cosa non sembra così facile, a quanto pare.
L'annullamento di sè, lo spegnimento di ogni desiderio, di ogni volontà, di ogni propria identità circoscritta, sta alla base di millenni di saggezza orientale, fra le altre cose. E sappiamo tutti la complessità immensa che sta dietro a quella tradizione.
Mi sovviene a proposito di tutto ciò anche una frase sentita una volta da Gianno Vattimo, che riferiva una battuta filosofica spietatamente ironica, pronunciata da un suo collega spagnolo, il quale, proprio su questa difficoltà umana di concepire il nulla, proprio riguardo a quella pervasività invadente dell'essere che così spesso ci sentiamo leopardianamente addosso (sia nel senso metaforico di sentire come una sorta di pelle di leopardo appiccicata a ni, sia nel senso dell'angoscia leopardiana, del Leopardi), parafrasò la famosa frase evangelica in siffatta guisa: «Mio Dio, mio Dio, perchè "non" mi hai abbandonato». La frase mi colpì parecchio, perchè l'ironia sembra roba da poco, ma spesso sa cogliere aspetti di verità più profonda di quanto non sappiano fare altri ambiti conoscitivi.
Chiudo dicendo solo che sulla saggezza della verifica blogspot, non ci sono mai dubbi: blospot "sa" sempre! :-)

Gillipixel ha detto...

@->Paolo: ciao Paolo, grazie del saluto...ma quale marpione...sono solo uno studioso dell'umano pensare :-D
Ciao :-)

Gillipixel ha detto...

@->Michele: grazie della visita, Michele, benvenuto :-) contraccambierò senz'altro da te :-)
Ciao

Rachel Barnacle ha detto...

Non solo dunque «…siamo ciò che mangiamo…», ma viene quasi da aggiungere che «…più mangiamo, più siamo…».

E infatti, secondo te per quale motivo - in qualsiasi narrazione che parli direttamente o indirettamente di divinazione, profezie e viaggi iniziatici - c'è la componente del digiuno?
Dalla Bibbia a Stephen King, l'unico modo per ospitare la voce di dio è rinunciando alla propria.

Gillipixel ha detto...

@->Rachel: preziosissima chiosa, RB, grazie di cuore...è un punto sul quale non avevo mai riflettuto: altro fondamentale elemento di congiunzione fra cibo ed identità...

(mi sono moderato...altrimenti, se avessi lasciato fare al Barbapapà che è in me, avrei scritto: Geniale, Rachel, semplicemente geniale!!! Dirò di più: SQUIIIIITTTT :-)
ehehehehehe :-) ciao e grazie :-)