sabato 4 dicembre 2010

Giorgio Morandi: prospettiva, non sei degna di me!


Per la gioia di grandi e piccini, riprendono oggi le «Piccole sbrodolate di sugo artistico sulla camicia bianca».
In questa puntata parlerò di Morandi.
Non Gianni, beninteso. Di lui magari tratterò più avanti, se avrà fatto bene a Sanremo. Il Morandi che invece m’interessa qui, adesso, è Giorgio (Bologna, 20 giugno 1890 – Bologna, 18 giugno 1964).

Dopo Lucio Fontana, proseguo con questo altro grande “filosofo dell’immagine” perché anche la ricerca artistica del maestro bolognese è caratterizzata dalla volontà di oltrepassare antichi “schemi espressivi” radicati da secoli nella tradizione culturale delle arti figurative.

Così come Fontana se l’era presa con la “bidimensionalità”, Morandi ce l’ha su con la prospettiva. Son partito facendo un po’ l’asino (specialità che mi riesce piuttosto bene, nonostante i recenti rincari sul mercato del fieno…), perché il tema è ostico e non sono sicuro di sapervelo illustrare a dovere. Va beh…mal che vada voi mettete di nuovo mano ai soliti ortaggi “da lancio”.

Vediamo di fissare una piccola regola “di minima”, utile sempre quando si sta davanti ad un’opera d’arte. Siamo arrivati lì, in quella stanza di museo, magari abbiamo fatto pure una bella fila sotto il sole, ci fa male un callo, le ascelle urlano vendetta olfattiva al cospetto dei posteri, la cosa che desidereremmo di più al mondo è una umile, semplicissima sedia sulla quale poter posare la parte meno pensante del nostro io, e invece c’è da guardare ‘sto quadro, da lambiccarsi il cervello, c’è da portare a casa almeno un pareggio, per non confessare dopo agli amici al bar di non aver capito una mazza della mostra.

Cosa fare?

Azzeriamo il contatore.
Annulliamo ogni pretesa di giudizio immediato.
Spaziamo via il più possibile idee preconcette.
Pensiamo pure senza remore al fatto che poi dal museo alla fine si esce fuori, e là ci sono donne e uomini vivi, belli e carnali nella loro vitalità, ci sono gli arrosti succulenti e le bevute di buoni vini, e tutti i libri che si vuole, e ancora tanti letti per ronfate pantagrueliche e altre attività orizzontali espletabili in compagnia.
Rassicurati, dopo aver tastato il polso della permanenza simultanea del reale, poniamoci ora “in ascolto” dell’opera, con calma.

Cerchiamo di ragionare, forti di quel poco che sappiamo (parlo in primo luogo per me, s’intende…) dell’arte, dell’«esprimersi per immagini», ma soprattutto della vita.
Facciamoci domande semplici, tenendo sempre presente che se non arriveranno le risposte, non sarà stato comunque tempo perso, perché in ogni caso ne sarà derivata un’elaborazione, un “rimuginio”, le nostre idee avranno girato e questo è sempre un fatto buono.

Di fronte alle opere di Giorgio Morandi, dopo averne viste alcune, partirei da una domanda alquanto banale, che io, in qualità di gran sempliciotto quale sono, mi sono spesso posto: ma perché dipingeva quasi sempre quei tre o quattro boccettini anonimi, quei vasetti, quelle semplici bottigliette posate su quel piano spoglio, altrettanto muto e privo si sfondo?


Ecco, ora io barerò un tantino, perché avendo letto il testo di Giulio Carlo Argan che mi fa da faro in queste mie scorribande artistiche, un abbozzo di risposta ce l’ho già; ma credo che il metodo sopra indicato rimanga comunque valido, anche se le risposte giungono col contagocce.

Perché dunque Morandi s’«incaponiva» a voler reiterare fin quasi all’ossessione quel suo soggetto monotono? Nella risposta più plausibile, riecheggia un po’ il gusto assaporato con la lettera rubata di Edgar Allan Poe: è scontata, ma lascia nel medesimo tempo stupefatti. La risposta infatti è: Giorgio Morandi dipingeva sempre quelle tre bottigliette perché il soggetto dipinto non era per nulla il fulcro del suo interesse. Delle bottiglie e dei vasi di per sé non gliene poteva fregare di meno.

Anzi, c’è di più: i soggetti, Morandi li sceglieva proprio in virtù della loro mancanza pressoché assoluta d’interesse. Per dirla con un gioco di parole, gli interessava che non interessassero.


Ma allora, se un pittore non s’interessa del “contenuto” di ciò che dipinge, di cosa si potrà mai interessare?
Ovvio, ma poi neanche tanto: del “contenitore”.
E qual è il “contenitore” dei soggetti dipinti?
Di nuovo ovvio, ma forse ancora meno di prima: è lo spazio.

Dice Argan: «…Morandi…aveva bisogno che l’oggetto, arcinoto, non facesse problema e non richiamasse e localizzasse sul proprio essere l’interesse conoscitivo che mirasse invece al suo essere nello spazio».

Almeno ad un punto fermo ci siamo dunque arrivati: Giorgio Morandi ci vuole parlare dello spazio, della dimensione in cui le nostre percezioni si concretizzano, dell’«involucro» in cui la nostra “presa di coscienza” della realtà prende vita.
E “spazio”, nella tradizione “artistico-visiva” occidentale, da almeno cinque secoli voleva (e vuole ancora…) dire quasi inequivocabilmente una cosa: “prospettiva”. Lo spazio, con i grandi maestri dell’umanesimo e rinascimentali (per brevità, cito solo due nomi per tutti: Giotto di Bondone e Piero della Francesca), era stato “ingabbiato”, “irreggimentato”, quasi come il flusso impetuoso di un fiume in piena, nell’ordinato involucro delle linee di fuga della griglia prospettica.

Quella operazione di “riduzione” dello spazio (e dunque della realtà) alla prospettiva, ancor prima che un fatto di natura materiale, tangibile, all’epoca aveva comportato un notevole scarto dal punto di vista concettuale, intellettuale. Se le caratteristiche dello spazio sono “già date” (come succede con la “gabbia prospettica”); se si antepongono alla nostra esperienza effettiva, al nostro vivo “esperire”; se vengono prima del nostro concreto prendere atto del mondo e delle cose della vita…se tutte queste cose…vorrà dire che ci saremo posti in un atteggiamento di considerazione “mentale” dell’esistenza.
Pensare viene prima di esistere: la coscienza umana è un dato preesistente.

A questo punto, cari amici viandanti per pensieri, se un po’ vi conosco, sono praticamente sicuro che avrete cominciato a sentire puzza di bruciato filosofico.
Se tanto mi dà tanto, infatti, e la nostra conoscenza della realtà presuppone già una griglia (la prospettiva) entro la quale il nostro “conoscere” si andrà ad incasellare, questo equivale ad ipotizzare l’esistenza di verità che precedono l’esperienza.



Giorgio Morandi spezza la “logica prospettica”, ma senza negare a priori dignità alla prospettiva in quanto tale. Quello che Morandi dice è che la conoscenza dello spazio non può prescindere dall’esperienza. In questo senso, la coscienza si forma con l’esperienza, matura insieme alla vita nel suo farsi, e non può esserne un presupposto, un dato precostituito.

Come si traduce tutto ciò nel linguaggio visivo? Passo a raccontarvelo con una piacevole sventagliata di trasparenti citazioni dal testo di Giulio Carlo Argan.

Nei dipinti di Morandi, la linea non agisce più come un mezzo di demarcazione fra i volumi, al fine di inserirli nel reticolo prospettico, ma è «…il confine e la mediazione tra valori tonali comunicanti…»; del volume, non interessa più tanto un “concettuale” inquadramento nella tridimensionalità, ma attraverso di esso si evidenzia una «…calibrata distanza tra piani colorati…»; le tonalità (e dunque la luce nei dipinti) non sono più uno strumento “al servizio” della profondità spaziale, ma si fanno sensibili interpreti delle sfumature qualitative nello spazio, «…ragguaglio o proporzione di quantità e qualità…».

Morandi, continua Argan, «…ricusa di utilizzare per l’esperienza conoscitiva che affronta ciò che è già dato per conosciuto. […] Nulla è dato in sé, tutto per relazione. E le relazioni si determinano nel corso dell’esperienza vissuta della pittura: il significato dei valori muta ogni volta perché l’esperienza è vita e la vita è sempre diversa…».

Ecco, credo che per oggi si possa terminare qui, sottolineando come proprio in quest’ultima sfolgorante frase risieda il nucleo dell’essenza poetica e della modernità di Morandi: «…l’esperienza è vita e la vita è sempre diversa…».


Per questo egli ha potuto permettersi di dipingere sempre quei quattro barattoli e diventare un grande dell’arte del ‘900: perché ogni volta la luce era diversa, ogni volta il pulviscolo dell’atmosfera intorno mutava, ogni volta gli stati d’animo erano differenti. Ogni volta era uno stralcio nuovo di vita.

Saluti, baci, cordialità e…alla prossima sbrodolata artistica!


8 commenti:

Lara ha detto...

Finalmente è arrivata la tua seconda lezione e stavolta proprio riguardante il "bolognese" Giorgio Morandi. Esulto perché qui, a Bologna almeno, si era formata una specie di leggenda sul pittore, che - per dipingere si era creata una esistenza quotidiana di difese assolute, di solitudine... E in realtà Morandi ha sempre tentato una strenua difesa della sua privatezza, indispensabile alla sua personalità, ma certamente non facile.
Scusami tanto se entro così impetuosamente nel tuo post, che mi piace moltissimo, perché oltre all'arte tu hai saputo proprio mettere in evidenza il forte accostamento alla vita.
Trovo splendide queste tue lezioni e le aspetto con gioia.
Grazie Gill!
Lara

Marisa ha detto...

caro Gilli è molto bello quello che scrivi ed il tuo stile è sempre accattivante ma per me i quandri come la musica se di livello devono riuscire a dare emozioni fisiche e pur amando la parola come espressione massima di comunicazione, ritengo che in ogni forma d'arte siano superflue.
Dal basso della mia ignoranza in materia posso affermare che amo la pittura contemporanea, perchè la sento affine alle mie corde emotive più di quelle rinascimentali o barocche, forse perchè utilizza colori e forme che riescono a comunicare con la parte più irrazionale di me o forse perchè i ritratti dell'epoca o le scene guerresche erano le fotograsfie di oggi o la storia raccontanta su tavole dipinte (bestemmia, lo so e chiedo venia) e ne rimango indifferente.
Comunque grazie!

Gillipixel ha detto...

@->Lara: grazie, Lara, sei sempre super-carina :-) Metti tutto l'impeto che dediseri nei tuoi commenti, a me fa solamente piacere :-)
Sono contento di essere riuscito a dire cose su Morandi che ti hanno trasmesso significati importanti...come ci tengo a ripetere, non sono un'esperto della materia, ma solamente un appassionato...cerco di metterci tutta la mia curosità e a volte qualcosa di decente ne viene fuori :-)

La personalità di Morandi andrebbe sviscerata ed approfondita...dietro ogni artista si cela sempre un uomo complesso, la cui biografia s'intreccia inevitabilmente con la sua poetica...ma le necessità di sintesi di un articoletto di blog sono spesso tiranne :-)

Ancora tante grazie, i tuo commenti gentili sono uno sprone stupendo per proseguire con altri scrittini sull'arte :-)

Pulviscolo di bacini :-)

Gillipixel ha detto...

@->Marisa: grazie e grazie ancora, Mari :-) ti devo però sgridare un po', stavolta :-) per la precisione ti sgrido riguardo a quel "comunque" che hai messo sul finale :-)

Non era necessario perchè le cose che dici sono molto sagge e, forse ti stupirà, anche io le condivido...

L'arte dovrebbe parlare alla mente, al cuore e anche alla pancia, senza bisogno d'interpreti: questa è una regola d'oro...sacrosanta...
Se un'opera non comunica nulla, andare in suo soccorso con parole accessorie e di contorno sembra un'azione pietosa...

Allora perchè scrivo questi articoletti? Di preciso non lo so, te lo confesso :-)
Forse un po' perchè credo che un "ascolto" dell'opera d'arte vada stimolato...forse, anche perchè ogni epoca dell'arte si è espressa con un "linguaggio" differente, e spesso con questi linguaggi abbiamo poca familiarità, per cui serve un po' conoscere una sorta di "alfabeto" che ci possa soccorrere come chiave di lettura...
Facendo un paragone con la musica (anche se è un mondo a parte, perchè quella sa "parlarci dentro" diretta come nessun'altra arte...), credo sia molto diverso il tuo modo di recepire un brano, essendo tu esperta e sapendo leggere le note, rispetto al mio modo solo istintivo, dato che per me uno spartito è roba sconosciuta :-)

Ma alla fin fine, forse il motivo principale per cui scrivo questi articoletti (...ma non lo dire a nessuno, è un segreto :-) è che mi diverto da matti :-)

Bacini contemporanei :-)

farlocca farlocchissima ha detto...

bella sbrodolata, bella bella :-) domanda: giacometti, che è una mia passione estetica, potrebbe essere una richiesta a te come dj-storico-dell'arte?
bacini culturali

Gillipixel ha detto...

@->Farly: eheheheeh, grazie cara Farly :-) dj-storico-dell'arte è una definizione bellissima, mi piace proprio tanto :-)

Giustamente, come ogni bravo dj che si rispetti, accetto anche richieste e dediche :-)
Ho verificato sulla mia "bibbia artistica" (il testo dell'Argan...) e di Giacometti non dice tantissimo...
Ma non sia mai che un dj rifiuta di mettere su un disco richiesto :-) Sarebbe un grave vulnus deontologico, nonchè un imperdonabile smacco per il mio curriculum di caciarone culturale :-)

Magari posso fare un articoletto che riguardi un po' il momento storico-artistico in cui Giacometti s'inserisce, sul dibattito culturale in cui rientra, integrando prendendo spunti da altri libricini che ho in casa, più strettamente in tema con l'arte moderna, libricini di cui riferirò in sede di prossima sbrodolata :-)

Allora aggiudicato: la prossima volta, Giacometti e la scultura sua contemporanea :-)

Poi magari mi piacerebbe anche tuffarmi un po' nel passato, andare proprio indietro nei secoli...una puntata sulla Grecia antica non potrà mancare...ma questo si vedrà nel prosieguo del programma :-)

Bacini mixati ed equalizzati :-)

maria rosaria ha detto...

purtroppo di arte pittorica mi intendo poco, e queste tue lezioni sono simpaticamente illuminanti. e aggiungo di più, a me lo stile di morandi piace molto, mi piacciono i toni, le tinte, e la delicatezza. profanamente, ti saluto in attesa del post su gianni. baci

Gillipixel ha detto...

@->Maria Rosaria: grazie, cara Em Rose...ma non credere, veh...anche io sono un profano in fin dei conti...solo che magari, non mi preoccupo tanto di spararle grosse :-) E questo non si chiama tanto competenza, ma piuttosto mancanza di pudore intellettuale :-)

Un articoletto su Gianni non ci starebbe male...devo pensarci un po', ma magari qualche idea mi viene :-)
Lo prendo come una piccola sfida allo scribachino che è in me :-)

Grazie Em Rose, bacini non esperti :-)