Ascoltare mi è sempre piaciuto molto.
Non che voglia vantare una sensibilità fuori dal comune, oppure una particolare capacità di nutrire empatia in speciale misura verso gli altri. Chissà, fra le cause ci sarà sicuramente il mix esplosivo di timidezza e pigrizia che mi correda l’animo sin dalla tenera età. Fatto sta che ho sempre trovato molto più affascinante l’ascolto rispetto al pronunciarmi, rispetto ai momenti in cui si è chiamati a parlare.
Una radice storica di questa cosa credo di poterla individuare. Dev’esser stato per via del crocchio.
Nell’aia della Casa Vecchia, quando ero bambino, era un appuntamento fisso di quasi ogni serata dal clima gradevole, dalla tarda primavera fino alle soglie dell’autunno. Diverse donne, e anche qualche uomo più incline alla loquela, si sedevano in circolo e stavano lì a chiacchierare senza meta. Sembrava quasi un rito celebrato nel nome dell’enigmatica piacevolezza dell’Inutile, anticamera e preludio dell’altrettanto grande mistero del sonno.
Noi bimbi potevamo intrufolarci solo ai margini. Sia fisici che discorsivi. In un’atmosfera quasi “alberodeglizoccoliana”, non era previsto che i piccoli intervenissero più di tanto. Poi, i pochi miei coetanei presenti si rompevano presto le scatole e toglievano il disturbo, soprattutto il proprio, preferendo magari un giretto in bici. Io invece mi sentivo affascinato da quel microcosmo linguistico ancestrale, anche se all’epoca ovviamente non avevo la più pallida idea che si potesse chiamare così, e rimanevo tutto il tempo, fino all’ora di andare a letto.
La Casa Vecchia era un piccolo quartiere in miniatura. Quattro fette di casa affiancate per ospitare modi di vita piombati sostanzialmente simili dal Medioevo sino ai tempi della mia infanzia. Il “bagno” fuori, il “fuoco a letto” d’inverno, la luce coi fili a vista, come venature cresciute sopra la pelle dei muri, il pollaio “coccodiante”, le gabbie dei conigli, fonte di tenerezza in pelliccia.
Era il tempo che le lucciole cominciavano già ad “impasolinirsi”, ma se ne potevano vedere ancora in discreti sciami, grattarsi le pance radenti sopra i baffetti delle spighe di grano. Di grilli invece ce ne son sempre stati a volontà: le chiacchiere delle donne si impastavano lente con il loro cri-cri di sottofondo senza sosta.
Le donne parlavano rigorosamente in dialetto. L’italiano era una sorta di idioma inferiore per damerini pallidi, incapace di rendere con efficacia la coloritura di certi fatti meritevoli di essere condivisi col racconto. Ancora oggi, le volte che mi scappa un’espressione dettata dalla spontaneità, di primo acchito mi viene da spiattellarla in dialetto.
Anche se in seguito ho imparato ad apprezzare la lingua di Dante e Manzoni nel pieno fulgore della sua bellezza, e ogni giorno questa fascinazione si rinnova e si arricchisce, non di meno il mio dialetto, conosciuto e praticato nella sua forma genuina da non più di qualche centinaia di parlanti, rimarrà per sempre come una placenta gergale entro la quale la mia immaginazione espressiva è stata cullata nei momenti cruciali della sua formazione.
Erano chiacchiere leggere, quelle delle donne nell’aia, di una leggerezza dignitosa e radicata. Ricordi di quando le più anziane erano state mondine. Qualche commento, sgangherato ma denso di saggezza popolare, ai fatti sentiti in tv. Un cenno alla sorella del tale, che ha sposato quel tipo, il figlio di “coso”, che era andato a stare a Milano per aprire una farmacia in società col genero del fratello di “bagaglio”…mentre la scia della ricostruzione parentale si avvoltolava lenta nell’aria insieme alle volute di fumo dello zampirone, messo in mezzo al cerchio delle chiacchiere per attutire la ferocia proverbiale delle “nostre” zanzare…
Alla fine, non lo so se sono una persona capace di ascoltare. So solo che mi è sempre piaciuto molto.
Una radice storica di questa cosa credo di poterla individuare. Dev’esser stato per via del crocchio.
Nell’aia della Casa Vecchia, quando ero bambino, era un appuntamento fisso di quasi ogni serata dal clima gradevole, dalla tarda primavera fino alle soglie dell’autunno. Diverse donne, e anche qualche uomo più incline alla loquela, si sedevano in circolo e stavano lì a chiacchierare senza meta. Sembrava quasi un rito celebrato nel nome dell’enigmatica piacevolezza dell’Inutile, anticamera e preludio dell’altrettanto grande mistero del sonno.
Noi bimbi potevamo intrufolarci solo ai margini. Sia fisici che discorsivi. In un’atmosfera quasi “alberodeglizoccoliana”, non era previsto che i piccoli intervenissero più di tanto. Poi, i pochi miei coetanei presenti si rompevano presto le scatole e toglievano il disturbo, soprattutto il proprio, preferendo magari un giretto in bici. Io invece mi sentivo affascinato da quel microcosmo linguistico ancestrale, anche se all’epoca ovviamente non avevo la più pallida idea che si potesse chiamare così, e rimanevo tutto il tempo, fino all’ora di andare a letto.
La Casa Vecchia era un piccolo quartiere in miniatura. Quattro fette di casa affiancate per ospitare modi di vita piombati sostanzialmente simili dal Medioevo sino ai tempi della mia infanzia. Il “bagno” fuori, il “fuoco a letto” d’inverno, la luce coi fili a vista, come venature cresciute sopra la pelle dei muri, il pollaio “coccodiante”, le gabbie dei conigli, fonte di tenerezza in pelliccia.
Era il tempo che le lucciole cominciavano già ad “impasolinirsi”, ma se ne potevano vedere ancora in discreti sciami, grattarsi le pance radenti sopra i baffetti delle spighe di grano. Di grilli invece ce ne son sempre stati a volontà: le chiacchiere delle donne si impastavano lente con il loro cri-cri di sottofondo senza sosta.
Le donne parlavano rigorosamente in dialetto. L’italiano era una sorta di idioma inferiore per damerini pallidi, incapace di rendere con efficacia la coloritura di certi fatti meritevoli di essere condivisi col racconto. Ancora oggi, le volte che mi scappa un’espressione dettata dalla spontaneità, di primo acchito mi viene da spiattellarla in dialetto.
Anche se in seguito ho imparato ad apprezzare la lingua di Dante e Manzoni nel pieno fulgore della sua bellezza, e ogni giorno questa fascinazione si rinnova e si arricchisce, non di meno il mio dialetto, conosciuto e praticato nella sua forma genuina da non più di qualche centinaia di parlanti, rimarrà per sempre come una placenta gergale entro la quale la mia immaginazione espressiva è stata cullata nei momenti cruciali della sua formazione.
Erano chiacchiere leggere, quelle delle donne nell’aia, di una leggerezza dignitosa e radicata. Ricordi di quando le più anziane erano state mondine. Qualche commento, sgangherato ma denso di saggezza popolare, ai fatti sentiti in tv. Un cenno alla sorella del tale, che ha sposato quel tipo, il figlio di “coso”, che era andato a stare a Milano per aprire una farmacia in società col genero del fratello di “bagaglio”…mentre la scia della ricostruzione parentale si avvoltolava lenta nell’aria insieme alle volute di fumo dello zampirone, messo in mezzo al cerchio delle chiacchiere per attutire la ferocia proverbiale delle “nostre” zanzare…
Alla fine, non lo so se sono una persona capace di ascoltare. So solo che mi è sempre piaciuto molto.
6 commenti:
da questo post ho capito perchè visti il mio blog :-D è quasi un'aia!
Per una volta non sono molto d'accordo con te, Farly :-)...il tuo blog è un bellissimo giardino all'inglese, con piante fronzute (sempre che si dica così:-) e sussurranti alla brezza, erbetta smeraldina e soffice, fiori dei più svariati tipi e odorosi ed evocativi...questo è il tuo blog per me, e per questo lo visito :-)
wow che pollice verde che ho su internet ;-) grazie
ehehehehhehe...grazie a te Farly, sei sempre molto simpatica :-)
La tua infanzia rispecchia molto la mia, l'aia, il bagno fuori, il fuoco a letto, le lucciole, ricordo che mia nonna mi diceva di metterne una sotto ad un bicchiere, così il mattino seguente al suo posto avrei trovato 10£. adoravo, come te stare ore ed ore ad ascoltare i racconti di storie vissute, erano sempre le stesse, ma ugualmente belle. mi piace molto il tuo blog. Ciao gillipixel
Ciao Lorella, grazie mille, sono lusingato...che carino il ricordo della lucciolina, bello...mi fa tanto piacere che mi leggi, grazie!!! :-)
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