"...mi sono chiesto se non è solo per leggerezza che, finora, ho ripercorso gli avvenimenti della mia vita nell'ordine in cui sono accaduti, sì, quasi con la precisione di un cronometro. Non mi ero forse detto che la sola vita che si possa davvero definire mia, era quella che mi turbinava in testa a seconda di come soffiava il vento dei ricordi?...[...]...Come diavolo è andata a finire così, mi chiedo? E forse comincio a capire che la mia seconda vita, ingovernabile come una tempesta con i suoi lampi di ricordi, non può essere scritta. E neppure è più vera dell'altra, quella che inizia con la mia nascita o quel che si vuole, perchè tutte e due, alla fin fine, non esistono che nella mia testa. Per quel che riguarda la verità di entrambe, quindi, sono ugualmente in alto mare. Chissà se Defoe mi avrebbe potuto aiutare in proposito, lui che scriveva per evitare di vivere?..."
"La vera storia del pirata Long John Silver" -
Bjorn Larsson (1995)
Un aspetto della malia dello scrivere (questo, attribuito a Daniel Defoe dal vecchio Long John Silver) che è componente necessaria (anche se non sufficiente) dell'animo di tutti gli amanti di questa forma di comunicazione. Anche per l'autore più impegnato, per quello che affronta i temi di più stretta attualità, di carattere sociale, o politico, sapere che la scrittura può portare momentanemante fuori dal flusso della vita, può far immergere in una distillata e distaccata dimensione consolatoria, è forse il movente che più di ogni altro spinge a mettersi lì con una penna in mano o a pigiare i tasti del pc.
Da questo deriva un fatto paradossale: anche il più disimpegnato degli autori, il più codardo fuggiasco narrativo che sceglie la scrittura proprio per la sua dimensione di distacco dalla vita vissuta, è capace di cogliere ed evidenziare tratti preziosi nella descrizione della vita, e mettersi così facendo "a servizio della vita stessa".
In questo senso, anche per la scrittura, vale un discorso analogo a quello fatto spesso riguardo alla musica, per la quale le distinzioni di genere (rock, classica, pop, ecc.) hanno più una validità cronologica che non di merito: la distinzione fra scrittura impegnata e scrittura disimpegnata ha infatti valore forse puramente classificatorio. La vera distinzione, come per la musica, è fra buona e cattiva scrittura.
La buona scrittura sa cogliere la quintessenza del vivere e ci aiuta, per quanto di sua competenza, a misurare continuamente il grado di validità dell'espressione "la vita vale la pena di essere vissuta".
8 commenti:
Scrivere mi aiuta a liberarmi di tutto quello che tengo nei cassetti della memoria, mi fa star bene...ed è anche grazie a questo che "La vita vale davvero la pena di essere vissuta", rendere partecipi altre persone, anche se solo virtualmente, delle nostre vicissitudini. Ciao.
scrivere è veramente una sorta di piacevole terapia...scrivendo si riescono a dire cose che la parola parlata non può raggiungere, perchè manca dell'intimità propria della scrittura...scrivendo si viaggia lontano, viaggi che nessun altro mezzo riesce a far fare...è tutto molto bello...grazie del commento, Lorella... :-)
scrivere ha spesso avuto per me una valenza terapeutica. il mio blog è nato così poi però le cose si trasformano, prendono forme temporanee che nutrono, alimentano, diventano altro... comunque cose che aiutano a crescere, alcuni attempati bambini ;-)
vero, Farly :-) io aggiungerei anche un'altra componente insita nello scrivere: quando si scrive è come rivolgersi ad un ascoltatore ideale...chi parla e chi ascolta coincidono, e in questa cosa sta molto fascino, a mio parere...un ascoltatore del quale possiamo dosare il senso critico rispecchiandolo direttamente nei concetti che noi stessi creiamo...è un gioco di specchi e di identità molto complesso...così, almeno mi pare :-) grazie, un sorriso grande
la valenza terapeutica in fondo risiede proprio nell'immaginare un'ascoltatore/lettore cercando di non essere totalmente autoreferenziali. in questo caso puoi provare ad attuare uno "spostamento" che ti consente di allontanarti da un evento doloroso, a vedere in modo più reale un evento molto felicitante... insomma puoi costringerti a spostarti dai luoghi in cui la mente si incarta su se stessa :-)
in questo direi che la scrittura presenta affinità molto significative con la dimensione del gioco: sono due mondi virtuali nei quali possiamo "sperimentare" situazioni che poi magari ci troveremo ad affrontare nella realtà...col vantaggio che nel gioco e nella scrittura è possibile introdurre all'occasione un meccanismco di "sicurezza", una sospensione dell'incredulità che ci tutela dalle conseguenze più gravi...anche qui, mi pare eh :-)
in molte terapie il gioco è parte della cura. anche lo psicodramma, terapia piuttosto efficace a detta di chi l'ha vissuta, è una sorta di gioco, con continui cambi di punto di vista nel racconto recitato delle esperienze. il gioco è cosa serissima, basta ricordare come lo facevamo da piccoli o guardare come si comportano i bambini :-) e qui su internet noi ci inventiamo un gioco a ogni post...
ti dirò di più :-) mi voglio rovinare, con un'altra botta di cultura :-) ricordando come nella lingua inglese il verbo "to play" significhi sia giocare, sia recitare...così, forse, recitare, giocare e scrivere sono un po' un tutt'uno, chi lo sa :-)...e concordo sul fatto che bloggheggiare è anche molto un gioco, se no non sarebbe così appassionante :-)
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