“…La festa dell’ultimo dell’anno è una cagata pazzesca!!!...”.
Questa sera, proprio allo scoccare della mezzanotte, sarà il miglior inno interiore che fantozzianamente mi sentirò di elevare al cielo, come apotropaica frase di rito esorcizzante, nel sacro nome dell’Ironia. Una volta pensato quello, mi sentirò più in pace con me stesso e percepirò la mia privata rettitudine filosofica meno ammaccata del solito. Un po’ come per la faccenda degli auguri: ne vieni fuori meglio solo se tieni ben presente che non sono una cosa seria.
Fin dai tempi dell’asilo mi sono accorto che le circostanze molto attese e preparate sono anche inevitabilmente le più deludenti e fiacche. Anzi, più prepari e più attendi un certo evento, più puoi stare sicuro che quel vigliacco riuscirà svanito come una bottiglia di spumante che all’apertura, invece di sparare un vigoroso botto, rantola un flebile e mestissimo “…sssffffssss…”.
Mi è successo tante volte di trascorrere momenti magnifici con gli amici, dopo che ci eravamo magari incontrati per caso in piazza, seduti al bar ancor più per caso e cominciato a bere birra sempre più casualmente. Quelle volte ne sono scaturite chiacchierate fenomenali, calate in una sensazione di armonia sovrumana fra di noi. Robe per le quali puoi veramente dirti contento di essere nato.
Altrettante volte invece, in occasione di feste o cerimonie ampiamente preventivate, ho sentito, nella migliore delle ipotesi, i maroni adagiarsi stancamente in sella al cavallo delle braghe, tale e tanta era l’insostenibile pesantezza del festeggiare in essi accumulata, mentre, nella peggiore delle eventualità, sono stato avvolto da terribili manti di mestizia e di nonsenso esistenziale.
Se si potesse, non bisognerebbe programmare mai nulla.
Prendete gli sposalizi, ad esempio: che pizza spropositata che sono!
Gli sposi dovrebbero stabilire le nozze all’improvviso, senza premeditazione. Un bel giorno, a caso, fare un giro di telefonate (compresa quella al prete o al sindaco, e quella in pizzeria per il pranzo), e dire a tutti: “…Noi ci sposiamo…chi c’è c’è…e chi non c’è, ci si vede!...”.
Sperando che almeno il prete o il sindaco abbiano tempo. Li ho infatti preventivati tutti e due non per questioni di propensione religiosa oppure laica, ma solo perché vanno di rigore chiamati entrambi proprio per un fatto di puro calcolo delle probabilità.
E se in pizzeria non c’è posto, poco male: si fanno fare un po’ di panini con mortadella dal salumiere e si va tutti allo zoo comunale.
Ho saputo che l’amico di un mio amico qualche tempo fa ha messo in piedi un cosa simile: il giorno delle nozze, senza aver detto niente a nessuno, lui e la sposa hanno noleggiato un autobus (proprio tipo quelli di linea, con tanto di obliteratrice ed odor di umanità pendolare) e hanno fatto il giro degli amici, invitando quelli che si volevano unire alla festa di matrimonio. Non so poi com’è andata, ma perlomeno l’intenzione di non dare adito ad aspettative fatue era buona.
Da bambino mi angosciavano in modo tremendo le feste di compleanno. Non ne ho mai organizzata una e andavo con grande fatica a quelle dei miei amici, perché ogni volta era una prova esistenziale terribile per il mio piccolo animo non ancora tanto aduso alla sana pratica dell’autoironia terapeutica.
Già c’era da faticare a comprendere quale merito ci fosse nel compimento di un anno in più, ma anche qui l’aspetto più sconfortante veniva dalla delusione per un momento presunto tanto speciale e che alla fine invece puntualmente si rivelava nella sua spropositata, ordinaria banalità.
Va beh, anche per oggi ho “bastianeggiato contrariamente” a sufficienza.
Prima di chiudere, volevo dire ancora il mio grazie più grande a coloro che mi hanno letto e che vorranno continuare a farlo: questo è un angolino di impegnative futilità, una piccola parentesi di sospensione fra un fardello quotidiano e l’altro. Mi fa piacere se così il mio blog viene inteso e se qualche sorriso fa sbocciare qua e là lungo lo Stivale, insieme a taluni arricciamenti di fronte.
Adesso vi saluto, rientrando un attimo nell’ambito della consuetudine socialmente catalogata, e auguro a tutti un buon anno nuovo (…pur sempre con quel buon diavoletto di Geppo che da dietro le spalle vi sussurra: “…La festa dell’ultimo dell’anno è una cagata pazzesca!!!...”).
E se a fine festa, vi sarete inevitabilmente resi conto di esservi rotti le palle ancora per l’ennesima volta, ricordate che potrete essere fieri di voi stessi.
Con sommo spirito anticonformista sarete riusciti a non concedere soddisfazione alla presunzione delle moltitudini filosoficamente sfiatate, che pretendono l’appuntamento di stanotte preclaramente votato all’imperativo morale del divertimento infallibile ed ineludibile.
Questa sera, proprio allo scoccare della mezzanotte, sarà il miglior inno interiore che fantozzianamente mi sentirò di elevare al cielo, come apotropaica frase di rito esorcizzante, nel sacro nome dell’Ironia. Una volta pensato quello, mi sentirò più in pace con me stesso e percepirò la mia privata rettitudine filosofica meno ammaccata del solito. Un po’ come per la faccenda degli auguri: ne vieni fuori meglio solo se tieni ben presente che non sono una cosa seria.
Fin dai tempi dell’asilo mi sono accorto che le circostanze molto attese e preparate sono anche inevitabilmente le più deludenti e fiacche. Anzi, più prepari e più attendi un certo evento, più puoi stare sicuro che quel vigliacco riuscirà svanito come una bottiglia di spumante che all’apertura, invece di sparare un vigoroso botto, rantola un flebile e mestissimo “…sssffffssss…”.
Mi è successo tante volte di trascorrere momenti magnifici con gli amici, dopo che ci eravamo magari incontrati per caso in piazza, seduti al bar ancor più per caso e cominciato a bere birra sempre più casualmente. Quelle volte ne sono scaturite chiacchierate fenomenali, calate in una sensazione di armonia sovrumana fra di noi. Robe per le quali puoi veramente dirti contento di essere nato.
Altrettante volte invece, in occasione di feste o cerimonie ampiamente preventivate, ho sentito, nella migliore delle ipotesi, i maroni adagiarsi stancamente in sella al cavallo delle braghe, tale e tanta era l’insostenibile pesantezza del festeggiare in essi accumulata, mentre, nella peggiore delle eventualità, sono stato avvolto da terribili manti di mestizia e di nonsenso esistenziale.
Se si potesse, non bisognerebbe programmare mai nulla.
Prendete gli sposalizi, ad esempio: che pizza spropositata che sono!
Gli sposi dovrebbero stabilire le nozze all’improvviso, senza premeditazione. Un bel giorno, a caso, fare un giro di telefonate (compresa quella al prete o al sindaco, e quella in pizzeria per il pranzo), e dire a tutti: “…Noi ci sposiamo…chi c’è c’è…e chi non c’è, ci si vede!...”.
Sperando che almeno il prete o il sindaco abbiano tempo. Li ho infatti preventivati tutti e due non per questioni di propensione religiosa oppure laica, ma solo perché vanno di rigore chiamati entrambi proprio per un fatto di puro calcolo delle probabilità.
E se in pizzeria non c’è posto, poco male: si fanno fare un po’ di panini con mortadella dal salumiere e si va tutti allo zoo comunale.
Ho saputo che l’amico di un mio amico qualche tempo fa ha messo in piedi un cosa simile: il giorno delle nozze, senza aver detto niente a nessuno, lui e la sposa hanno noleggiato un autobus (proprio tipo quelli di linea, con tanto di obliteratrice ed odor di umanità pendolare) e hanno fatto il giro degli amici, invitando quelli che si volevano unire alla festa di matrimonio. Non so poi com’è andata, ma perlomeno l’intenzione di non dare adito ad aspettative fatue era buona.
Da bambino mi angosciavano in modo tremendo le feste di compleanno. Non ne ho mai organizzata una e andavo con grande fatica a quelle dei miei amici, perché ogni volta era una prova esistenziale terribile per il mio piccolo animo non ancora tanto aduso alla sana pratica dell’autoironia terapeutica.
Già c’era da faticare a comprendere quale merito ci fosse nel compimento di un anno in più, ma anche qui l’aspetto più sconfortante veniva dalla delusione per un momento presunto tanto speciale e che alla fine invece puntualmente si rivelava nella sua spropositata, ordinaria banalità.
Va beh, anche per oggi ho “bastianeggiato contrariamente” a sufficienza.
Prima di chiudere, volevo dire ancora il mio grazie più grande a coloro che mi hanno letto e che vorranno continuare a farlo: questo è un angolino di impegnative futilità, una piccola parentesi di sospensione fra un fardello quotidiano e l’altro. Mi fa piacere se così il mio blog viene inteso e se qualche sorriso fa sbocciare qua e là lungo lo Stivale, insieme a taluni arricciamenti di fronte.
Adesso vi saluto, rientrando un attimo nell’ambito della consuetudine socialmente catalogata, e auguro a tutti un buon anno nuovo (…pur sempre con quel buon diavoletto di Geppo che da dietro le spalle vi sussurra: “…La festa dell’ultimo dell’anno è una cagata pazzesca!!!...”).
E se a fine festa, vi sarete inevitabilmente resi conto di esservi rotti le palle ancora per l’ennesima volta, ricordate che potrete essere fieri di voi stessi.
Con sommo spirito anticonformista sarete riusciti a non concedere soddisfazione alla presunzione delle moltitudini filosoficamente sfiatate, che pretendono l’appuntamento di stanotte preclaramente votato all’imperativo morale del divertimento infallibile ed ineludibile.
2 commenti:
uhmmm io stasera non conto di divertirmi a tutti i costi, conto di star bene con gli amici e prego che le torte rustiche appena sfornate non facciano schifo :-) ulitinis (questa è bellissima parola degna degli gnometti di star wars)
anche io non conto di divertirmi tanto, mi basta una serata passabile :-)
bella la tua parolina, sì, sì...gli utlinins devono essere i cugini degli ewoks :-)
allora io ti dico "nonsie", che ho pescato fresca frensca dal tuo blog :-)
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