Oggi, mentre mi incamminavo verso l'ufficio, notando due macchine parcheggiate l'una a pochi millimetri dall'altra, ho capito meglio il senso dell'arte moderna (o meglio, di una buona parte di essa).
Non che prima fossi a digiuno completo di estetica contemporanea. E nemmeno è da dirsi che ora ne sia divenuto quel gran esperto. Più semplicemente, ne ho colto un "aspetto applicato".
Mi riferisco qui in particolare ad una delle più grandi rivoluzioni portate dall'arte moderna: l'affrancamento dalla verosimiglianza.
Da un certo momento in poi, gli artisti hanno rinunciato alla pretesa della "mimesis", ossia della trasmissione di significati esistenziali effettuata tramite riproduzione del reale preso come un tutto organico. Il reale è stato invece suddiviso in "quanti estetici" emotivamente e significativamente circoscritti.
In questo senso, i sacchi di Burri o i tagli di Fontana non sono opere meno realistiche del Tondo Doni o della Gioconda. Anche le opere moderne cosiddette astratte traggono infatti il loro spunto dal reale, non potrebbe essere altrimenti. E' sempre una questioni di sensi, quella che è messa in gioco.
Con la differenza che la modernità ha scomposto il fenomeno estetico nei suoi elementi di forza visiva, nelle sue correnti compositive, nei suoi meccanismi di base.
Nell'arte pre-moderna, quegli elementi erano altresì presenti, ma rimanevano integrati, incastonati senza soluzione di continuità nel "tutto visivo".
L'arte pre-moderna trattava il reale come un flusso piovoso, mentre l'arte moderna si è addentrata nella considerazione goccia per goccia di quella pioggia.
Cosa c'entra tutto questo con due macchine parcheggiate, per dirla con finezza estetica superiore, muso a culo quasi incollate?
Il particolare mi ha colpito perchè non è usuale nella città medio-piccola in cui lavoro. Qui le auto sono solitamente belle infilate con buoni 30 o 40 cm. di distacco l'una dall'altra.
La parcheggiata appiccicata l'ho vista spesso invece a Milano, anzi lì è proprio la consuetudine, così come in altre metropoli italiane in cui sono stato, ad esempio Roma. Nel mio immaginario è un emblema di metropoli.
Ecco allora come la mia attenzione è stata catturata stamattina da un "quanto visivo" significativamente riferito ad un contesto del tutto diverso da quello in cui lo vedevo.
La casualità di uno sguardo sfuggente lo aveva isolato e messo in rilievo, ma qui, nella mia piccola cittadina, non aveva meno forza significativa di quanta ne avesse nei suoi contesti più usuali macro-urbani. Era solamente più evidente, in quanto individuato nella sua singolarità.
Credo che gli artisti moderni abbiano in un certo senso fatto qualcosa di simile. Certo loro, evidenziando significati del reale ben più nobili dal mio, ma l'operazione estetica in gioco non è molto dissimile.
O almeno credo...
Non che prima fossi a digiuno completo di estetica contemporanea. E nemmeno è da dirsi che ora ne sia divenuto quel gran esperto. Più semplicemente, ne ho colto un "aspetto applicato".
Mi riferisco qui in particolare ad una delle più grandi rivoluzioni portate dall'arte moderna: l'affrancamento dalla verosimiglianza.
Da un certo momento in poi, gli artisti hanno rinunciato alla pretesa della "mimesis", ossia della trasmissione di significati esistenziali effettuata tramite riproduzione del reale preso come un tutto organico. Il reale è stato invece suddiviso in "quanti estetici" emotivamente e significativamente circoscritti.
In questo senso, i sacchi di Burri o i tagli di Fontana non sono opere meno realistiche del Tondo Doni o della Gioconda. Anche le opere moderne cosiddette astratte traggono infatti il loro spunto dal reale, non potrebbe essere altrimenti. E' sempre una questioni di sensi, quella che è messa in gioco.
Con la differenza che la modernità ha scomposto il fenomeno estetico nei suoi elementi di forza visiva, nelle sue correnti compositive, nei suoi meccanismi di base.
Nell'arte pre-moderna, quegli elementi erano altresì presenti, ma rimanevano integrati, incastonati senza soluzione di continuità nel "tutto visivo".
L'arte pre-moderna trattava il reale come un flusso piovoso, mentre l'arte moderna si è addentrata nella considerazione goccia per goccia di quella pioggia.
Cosa c'entra tutto questo con due macchine parcheggiate, per dirla con finezza estetica superiore, muso a culo quasi incollate?
Il particolare mi ha colpito perchè non è usuale nella città medio-piccola in cui lavoro. Qui le auto sono solitamente belle infilate con buoni 30 o 40 cm. di distacco l'una dall'altra.
La parcheggiata appiccicata l'ho vista spesso invece a Milano, anzi lì è proprio la consuetudine, così come in altre metropoli italiane in cui sono stato, ad esempio Roma. Nel mio immaginario è un emblema di metropoli.
Ecco allora come la mia attenzione è stata catturata stamattina da un "quanto visivo" significativamente riferito ad un contesto del tutto diverso da quello in cui lo vedevo.
La casualità di uno sguardo sfuggente lo aveva isolato e messo in rilievo, ma qui, nella mia piccola cittadina, non aveva meno forza significativa di quanta ne avesse nei suoi contesti più usuali macro-urbani. Era solamente più evidente, in quanto individuato nella sua singolarità.
Credo che gli artisti moderni abbiano in un certo senso fatto qualcosa di simile. Certo loro, evidenziando significati del reale ben più nobili dal mio, ma l'operazione estetica in gioco non è molto dissimile.
O almeno credo...