lunedì 30 marzo 2015

Sul limitar di senso


Vi devo, forse, una spiegazione riguardo all’inspiegabile. 

Mi riferisco a quella specie di scritto strano intitolato “Se solo un elefante…”.

Mi domando anche io, insieme a voi, dove stia il senso in queste non meglio identificate composizioni che di tanto in tanto mi scappa di sfornare. Non crediate che non me lo domandi. Solo che, così, in prima battuta ad essere sincero non ve lo saprei dire. 

Una cosa è certa: non sono poesie. Una volta ho sentito Massimo Cacciari dire che in giro c’è pieno di gente convinta di fare poesia, solamente perché va a capo prima della fine della frase. Spero di non entrare mai nel novero di quei tali. Per cui ci tengo: non sono poesie. Mi piace chiamarle invece “quasi-poesie”.

Infilando poi il discorso da un altro lato, vengo alla “spiegazione-inspiegata” promessa. Dalle mie frequentazioni saltuarie con la filosofia, ho imparato forse una cosa. Quando si è intenzionati a capire cosa ci succede intorno, conviene partire dai soli piccoli passi certi che si possono fare. E’ utile cioè domandarsi: scartato tutto quello che non può essere vero, cosa rimane? 

Iniziamo allora andando a posare le suole sopra alcuni punti del terreno a mio avviso piuttosto stabili.

Un primo passo è: il senso completo della realtà non lo potremo mai conoscere (mi sembra abbastanza ragionevole e ironicamente “realistico”). 

Il passo successivo spesso lo muoviamo forse per la frustrazione di quanto visto al primo passo: siamo tentati di dire che nulla ha senso (questo passo va compiuto con l’impegno di portarsi subito oltre, pena il crollo generalizzato di tutto).

Muovendoci poi avanti: nonostante, e in virtù del passo precedente (anche per superarlo con decisione), non possiamo fare a meno di affidarci a significati parziali, se non altro per puro spirito di sopravvivenza.

Ancora un passo: l’uomo, per sua natura, non sopporta di essere limitato.

E andando di nuovo oltre: l’uomo ha una continua fame si spezzare la crosta dei significati raggiunti (e questo è probabilmente il passo decisivo che riassume un po’ tutto il senso del cammino).

Stabiliti questi che possiamo considerare come punti fissi abbastanza affidabili, posso tornare a domandarmi che senso, o scopo, abbiano cosette simili a “Se solo un elefante…” e altre da me scritte prima. 

Esse non hanno nessun altro scopo che dare in pasto qualcosa alla “fame di frantumazione” di significati stabili, vista nell’ultimo passo. 

Da qui deriva un'altra domanda: è lecito condurre la frantumazione dei significati fino alle sue conseguenze estreme? Ci si può, per dirla in altro modo, spingere sino al confine del nonsenso assoluto? In altre parole ancora: questo strambo pseudo-poetare può ridursi ad una sequela di parole sbattute giù a casaccio?

La risosta è no, altrimenti il cammino si interromperebbe subito al secondo passo, laddove si cederebbe alla tentazione di ammettere che nessun senso si potrà mai trovare, in niente. Il gioco sta dunque nel sapersi destreggiare sul pelo del nonsenso. 

Divertirsi a fare gli equilibristi sulla cima di quel sottile crinale che divide il territorio della significazione in qualche modo assodata, dai terreni incolti in cui germogliano le sue possibili e più feconde infrazioni. Un rimescolio di carte. Nient’altro che questo, è. Per vedere come saranno distribuite le mani fra i giocatori, nella prossima partita.

In questo modo, ci sarà chi, trovandosi in mano una nuova, favorevole serie di carte, si riterrà servito e abbastanza soddisfatto. Chi invece magari urlerà al mazziere: ma vaffanculo, non le hai neanche mischiate!!! E ancora chi, pur non avendo ricevuto una mano vincente, rimarrà tuttavia alcuni attimi a contemplare come si dispongono con eleganza formale le carte in quella sequenza.

E’ un esercizio che tutti possono fare. Una buona palestra in cui poter familiarizzare con una certa “ecologia della mente”. Non importa dove si arriva e non c’entra la pretesa di fare i poeti. Quel che conta è muoverci dentro alcuni passi di tanto in tanto.


Nessun commento: