martedì 31 marzo 2015

Ciò che solo l’ozio può insegnare


Avrete sentito tutti della polemica seguita alle dichiarazioni di quel ministro, che reputa eccessivi i circa tre mesi di vacanza estiva concessi a studenti e insegnanti. Non intendo entrare nel merito specifico della questione. Diverse voci ben più autorevoli e competenti della mia si sono già pronunciate a riguardo. Una per tutte, l’opinione di Massimo Cacciari, che ha definito “trogloditico” l’atteggiamento di chi commisura il rendimento professionale alla pura quantità di ore ufficialmente dedicate al proprio compito lavorativo (e a maggior ragione il discorso fa acqua nel caso di categorie impegnate in lavori prettamente intellettuali). Come se qualità e intensità dell’impegno (soprattutto quello profuso dagli insegnanti oltre l’orario canonico stabilito) fossero sciocchezze di secondo conto.

Che l’insegnamento non sia una questione puramente cumulativa e calcolabile sulla base dei verdetti di un cronometro, lo capisce anche un bambino. Ancor meglio lo dovrebbe capire chi bambino lo è stato e, presumibilmente, ha frequentato la scuola in quel periodo. Dovrebbe ricordare quella fase della vita durante la quale era alle prese con i primi rudimenti dell’apprendimento. E se è intellettualmente onesto con se stesso, ammetterà, ricordando, che l’apprendimento è un’attività per la quale sono fondamentali anche gli “spazi interstiziali”. 

La mente, l’animo, la sensibilità, la curiosità, il desiderio di sapere, non possono essere considerati secondo il punto di vista che si assumerebbe di fronte a un recipiente da riempire. Questo dovrebbe essere un criterio di base per qualunque professione. Ma è tanto più vero nel caso dell’insegnamento e dell’apprendimento, attività che si nutrono allo stesso modo di spazi pieni e di spazi vuoti, equamente distribuiti. La rielaborazione, la riflessione, l’assimilazione, il giusto tempo per lasciar decantare dentro di sé il sapere, la conquista di un certo grado di profondità intellettuale e culturale: sono tutte cose che hanno bisogno del loro tempo. Non c’entrano nulla con l’ingozzamento nozionistico forzato stile struzzo didattico.

Certo, la scuola deve fornire competenze. Ma ancora prima dovrebbe trasmettere agli allievi la passione per la conoscenza. E questa è una cosa che non si può ottenere per tappe forzate, ma soprattutto, una volta sviluppata ad un certo livello, ha il pregio di strabordare anche nel territorio del cosiddetto tempo libero, facendo nascere il desiderio di approfondire per proprio conto la bellezza apprezzata grazie alla scuola in ciascuna materia.

Ma non era di tutto questo che volevo parlare. Quello che volevo scrivere invece, c’entra col discorso solo in una maniera tangenziale e “quasi-poetica” (già che sono in argomento, dopo le cose di ieri). E’ un ricordo di quando ero bimbo.

Non ne sono sicuro, ma all’epoca le vacanze di Pasqua mi pare durassero di più. Forse questa impressione è dovuta alla deformazione data dalla lente della memoria. Fatto sta che ricordo bene le diverse mattine libere a disposizione, mentre fuori il cielo sempre più assolato e calduccio annunciava l’avvicinamento della primavera a grandi passi. Allora le trasmissioni in tele iniziavano alle cinque del pomeriggio. Tranne proprio durante quel periodo intorno a Pasqua, che coincideva con la Fiera Campionaria di Milano. 

Non so per quale misteriosa “associazione mentale adulta” (del tutto inafferrabile per il mio ignaro candore bambinesco), solo in coincidenza con la Fiera Campionaria di Milano scattava l’eccezione di un film trasmesso alla mattina in tele. Un classico del repertorio, era “Erasmo il lentigginoso”, una commediola americana con James Stewart e Brigitte Bardot, ma anche tutte le altre pellicole proposte erano più o meno sul genere.

Bene, sarà stato per l’eccezionalità della cosa. Sarà stato perché allora la sovrabbondanza televisiva era una pratica ancora lontana da venire. Sarà stato che nell’inusitata disponibilità di quei film a quell’ora, ci subodoravo già una specie di stupore assaporato in pieno solamente anni dopo, grazie all’uso di internet. Quella sensazione di sentirsi in comunicazione col mondo, di avere tutta l’umanità potenzialmente ospite in casa tua. Saranno state tutte queste e tante sensazioni associate.

Di fatto, ricordo quelle mattinate a casa da scuola, trascorse a vedere vecchi film alla tele (dei quali il più delle volte coglievo la trama solo per sommi capi) come momenti particolarmente magici della mia infanzia. Una sorta di “terra di nessuno” della fantasia, una dimensione di confine non meglio identificabile fra gioco e realtà. Poi trovavo anche il tempo per fare i compiti, sono sempre stato uno scolaro con una sua pigresca scrupolosità. 

Ma il bello era che quelle mattine assolvevano perfettamente al loro compito di “tempo altro”, che è proprio della natura dei giorni di vacanza. Un sentore di libertà, misto a speranza, con qualche tocco d’irresponsabilità. Ingredienti tanto indispensabili nello studio, quanto lo sono la dedizione, la precisione, la puntualità e la serietà.


2 commenti:

CirINCIAMPAI ha detto...

La solita vecchia storia...se a parlare d'istruzione è chi incarna l'idea platonica dell'ignoranza, dell'ottusità e del pressapochismo.

Che poi di un tempo vuoto loro non sanno che farsene: nessuna potenzialità, solo misura del loro vuoto e non se lo possono permettere.

Gillipixel ha detto...

@->: CirINCIAMPAI: cogli esattamente il punto, Cincia...questa società è forse fin troppo ossessionata a gestire i propri "pieni"...dovrebbe invece dedicarsi di più a capire, valorizzare, correttamente interpretare, i propri "vuoti"...serve un po' più di Zen :-)

Grazie del commento, in questa mia epoca di penuria di commenti :-)

Bacini Zen :-)