venerdì 7 novembre 2008

Normale

(Foto di Gillipixel)

"Come stai?".
Ecco una domanda che mi mette sempre in difficoltà, mi crea disagio.
"Minchia, la sensibilità che c'hai...", diranno i lettori più attenti e scafati.
E va beh, mica sto dicendo che si tratta di un dramma, quando vengo interpellato con quella frasetta di cortesia. Ma la risposta da dare mi ha sempre provocato un lieve logorio interiore. Il punto è che non so mai bene cosa ribattere.
Rispondere "bene" mi sembra sempre eccessivo e soprattutto poco sincero. Non va mai bene del tutto. Almeno, non so a voi, ma durante le mie giornate non capita quasi mai: ci sono quelle più o meno serene, ma proprio tutto liscio dall'alba al tramonto va molto di rado. E se devo dare il mio responso radioso tanto per darlo, boh, non so, mi sa tanto di fiato sprecato. In particolare se il "Come stai?" viene da una persona cara, ho quasi l'impressione di prenderla in giro a rispondere con un secco, netto ed irremovibile "bene!".
Tanto per dire, puoi accendere le tele ed imbatterti in Emilio Fede o in Studio Aperto; oppure sai che è inevitabile lungo il giorno dover fare cose che ti stanno sulle scatole; e inoltre, almeno un paio di momenti della giornata li dovrai passare con persone delle quali non ti può fregare di meno, e fra di loro c'è magari lo stesso semi-conosciuto che ti sta chiedendo "come stai?".
E questo, solo per citare le motivazioni più accidentali e superficiali. Che se vogliamo andare sul filosofico e tagliare corto il concetto, possiamo dirla con Emil Cioran: "L'uomo è inaccettabile".
La condizione umana, da qualsiasi prospettiva la si rigiri, è tragi-comic-grottesca-zzeggiante, e come si può affermare allora impunenemente di stare bene e non dubitare nel contempo di essersi trincerati dietro un'accampata verità ideologica di comodo? Insomma, "Sto bene" è una tesi intrinsecamente fasulla, se passata al vaglio del rigore filosofico più stretto.
Tuttavia, nei periodi ordinari della vita, anche dire che va male non è mai completamento corretto. Fatte salve le sfighe più totalizzanti (che pure capitano, ma speriamo stiano sempre il più lontano possibile), puoi sempre tener conto che c'è chi sta molto peggio di te, e saresti un ingrato ad amplificare i tuoi guai e grattacapi quotidiani, così piccoli se rapportati alle tragedie del mondo. Non è onesto. Anche perchè (sempre fatti salvi i casi più gravi, quelli in cui si ha bisogno di conforto) mettersi ad impestare il prossimo coi propri problemi non è mai tanto giusto, che ciascuno ha già i suoi di guai.
La domanda "come stai?" è stata insomma sempre un po' spinosa per me. Fino a quando non conobbi un ragazzo, che precariava in un ufficio in cui mi ritrovai anche io a trascorrere qualche periodo di lavoro "interan...inale".
Era un giovincello simpatico e svagato, un po' con la fissa dell'heavy metal. Non so se faceva parte del gergo del suo mondo musicale prediletto, ma per lui ogni cosa era degna di essere catalogata come normale.
Mi parlava di una ragazza. "Che tipo è?", chiedevo: "Normale".
Diceva di aver passato il week-end ad una festa. "Com'è andata?", e lui di nuovo: "Normale".
E fu da allora che capii come avrei risolto il mio problema ed il mio imbarazzo di fronte alla domanda fatidica.
Infatti adesso, ogni volta che mi chiedono: "Come stai?"..."Normale", faccio io.

1 commento:

Kika ha detto...

Ma sai che anche io, a quella domanda così banale (che pure ti ho fatto), provo sempre qualche microsecondo di indecisione su come rispondere? Di solito dico "bene", ma mi verrebbe voglia di aggiungere subito un "però..." oppure un "sì, insomma, abbastanza..." E poi c'è proprio il fatto che la domanda, se presa sul serio, ci pone l'obbligo di riflettere sulla nostra vita (in pochi secondi però!). La soluzione del "normale" non è niente male ;)
Invece una persona che conosco risponde sempre "tranquillo!" (tant'è che l'abbiamo ribattezzato Tranquillo :))