giovedì 11 dicembre 2008

Diabolus ex machina

(Fotomontaggio di Gillipixel)

Gli aspetti più familiari della realtà sono spesso quelli sui quali si riflette di meno. Li abbiamo sotto gli occhi tutto il giorno e la forza dell’abitudine fa assumere loro un’aura di scontata naturalezza pressoché indiscussa. Ma basta scostarsi un metro di lato, dare un’occhiata da una prospettiva inusuale, che subito si possono notare dettagli nuovi, risvolti non pensati, fecondi spunti per ragionamenti originali.
Non sto parlando di chissà quali rivoluzioni culturali. Mi riferisco solo ad un pizzico di spirito critico in più. Una maggior propensione a “problematizzare” i dati del mondo, a rimescolarli per riuscire forse a percorrere strade del pensiero ancora inesplorate. Un po’ nell’ottica dell’aneddoto del piccolo Gauss, ricordato l’altro giorno. Non c’è bisogno di avere la genialità di Gauss, né di raggiungere i suoi strabilianti risultati. Ognuno può riuscirci, basta mettere un po’ da parte la pigrizia mentale (sostanza della quale, purtroppo, pure io per primo sono un accanito assuntore).

A volte, per spostare la messa a fuoco sulle realtà osservate, è utile vederle attraverso metafore. Una metafora interessante mi sembra questa: le nostre città, i paesi ed ampi stralci del territorio sono percorsi da una circolazione “elettrico-sanguigna” socialmente e materialmente infetta. Eppure è una presenza tanto radicata che difficilmente viene vista nell’ottica del male necessario, come in effetti le competerebbe.
Mi riferisco al traffico automobilistico.
L’immagine della rete di “vene ed arterie elettriche” mi sembra piuttosto calzante, particolarmente se abbinata all’idea dell’infezione. L’insieme rende infatti ben conto della mistura esistenziale ed artificiale del fenomeno. Il riferimento non è infatti indirizzato al banale paragone fra il reticolo delle strade e l’apparato circolatorio umano, con l’aggiunta di una stravaganza elettrica tanto per fare un po’ di fumo metaforico.
L’associazione di idee alla quale penso è più sottile e coinvolge direttamente l’immaginario comune di ogni persona.

La “dimensione trafficata” è una connotazione ormai radicalmente sovrapposta all’immagine delle strade, facendo di ciascuna di esse uno spazio mentalmente interdetto alla “dimensione a misura d’uomo”.
La “misura d’uomo” prevede lo spostarsi al massimo dei massimi a 40 km. orari (ma solo se vi chiamate Usain Bolt, oppure, qualche tempo fa, Pietro Mennea). Nella normalità, i 10 all’ora circa sono la consuetudine.
La “misura d’uomo” prevede di poter sostare, salutare eventualmente i propri simili, o chiacchierare con loro, osservare con calma le cose, poter perdere eventualmente tempo.
La “misura d’uomo” prevede spostamenti in sicurezza, senza la continua minaccia di un bolide di ferro che rischia di “farti sfracellare” contro di esso.

La strada destinata al traffico automobilistico è invece perennemente ammantata dall’aura ostile della velocità. Non importa se in un dato momento, su quella specifica strada, non stia transitando nessun veicolo. Nella nostra “visione urbana immaginata”, nella nostra mappa mentale e percettiva del tessuto della città, quella porzione di spazio è ormai un flusso continuo di interdizione alla “misura d’uomo”. Qui si fa pregnante il parallelo con l’elettricità: la strada trafficata reca infatti continuamente istoriato su di sé un virtuale e perenne “chi tocca muore” psicologico, che nella peggiore eventualità può purtroppo sfociare in conseguenze fisiche ben concrete (vedi alla voce “incidenti”).
La “trafficatezza” è una sorta di tunnel di disumanità associato con gradualità crescente a ciascuna strada, in proporzione alla mole di veicoli che ci si aspetta di veder passare su di essa.
In questo senso, la moderna strada votata all’automobile e l’agorà greca (oppure il borgo medievale) stanno agli antipodi della scala di civiltà.

Ecco allora come la “dimensione automobilistica”, una volta rimescolati i suoi tasselli connotativi, calandoci nei panni di una specie di novelli piccoli Gauss, ci può apparire tutt’altra cosa di quell’Eden pubblicitario ammannito tutte le sere insieme alla cena.
In definitiva, l’automobile ci serve. Purtroppo. Come detto sopra: è un male necessario.
Ma per favore, la smettessero di continuare a menarla che è disegnata intorno a me.

4 commenti:

Rosa ha detto...

Non mi preoccuperai, l'odiosa morsa della velocità è annientata sempre più dall'amico traffico, così lento e a misura d'uomo.
Dì un po', ma in aereo? Vietato chiacchierare? Eppure una dei miei migliori amici ci ha trovato marito, sul bolide urlante...

Gillipixel ha detto...

Sapevo che il tuo fiuto anti-etàdellorista si sarebbe attivato immantinente facendoti storcere il naso, cara Rose :-) sarà pure traffico amico, ma allora com'è che nella città in cui lavoro continuano a stirare più pedoni e ciclisti che camice in una lavanderia?
Poi il mio era più un discorso di proporzioni: l'automobile presa di per sè, come entità singola qualitativa, è di certo un prodigio della creatività umana, ma è nella dimensione quantitativa di massa che dà adito a fenomeni di distorsione terribile...l'aereo e il treno già mi stanno più simpatici, sono più indirizzati ad uno spirito solidale fra le persone, invece l'auto, sotto questo punto di vista, è un potente amplificatore della competizione, dell'individualità, nonchè dell'idiozia umana :-)

farlocca farlocchissima ha detto...

uhm già... come al solito non è l'oggetto in sé ad essere idiota-cattivo-negativo ma chi lo usa... bene e anche oggi ho detto la mia banalità quotidiana :-)

Gillipixel ha detto...

eheheheeheh...per niente banale se c'è un grano di sale :-)...è esattamente quello il punto :-) e anche il fatto che una stortura diventi un'ideologia che rende psicologicamente schiavi...così...
:-)