"...Loris si rivoltò sul letto, la Nene ci guardò tutti e due malamente. Se ne accorse da sè e scoppio a ridere. Mi colpì che rideva in dialetto, come ridono le commesse, come rido qualche volta anch'io..."
[...]
"...- Non mi dirà, come qualcuna che conosco, che è bello nascere in un cortile...
Le dissi che il bello è pensare al cortile, facendo il confronto.
- Lo sapevo, - disse allora ridendo, - vivere è una cosa tanto sciocca che ci si attacca persino alla sciocchezza di esser nati...".
[...]
"...- Non mi dirà, come qualcuna che conosco, che è bello nascere in un cortile...
Le dissi che il bello è pensare al cortile, facendo il confronto.
- Lo sapevo, - disse allora ridendo, - vivere è una cosa tanto sciocca che ci si attacca persino alla sciocchezza di esser nati...".
"Tra donne sole", Cesare Pavese (1949)
Mi sto riavvicinando a Cesare Pavese.
Nella mia variegata carriera di lettore, mi sembra di aver capito che ogni autore non solo ha il suo tempo e le sue età per essere affrontato (questo è piuttosto scontato). Ma anche che, se davvero era "destinato" ad entrare a far parte del tuo patrimonio "estetico-esistenziale", in qualche modo ti "ritornerà incontro", quando meno te lo ri-aspetti, quasi non fosse stata nemmeno una tua scelta.
Pavese stava in sospeso nei miei interessi narrativi da parecchi anni. Lo avevo incontrato praticamente da ragazzino, una di quelle letture per la scuola che ti fanno fare durante le vacanze estive o di Natale. Nel mio caso la dolce imposizione era inoltre venuta da una prof. di italiano non bella nel senso canonico, ma intensamente fascinosa in un modo che definire adesso, col senno di poi, "pavesiano", sarebbe del tutto pertinente.
Non solo dunque, per il fatto di averlo già apprezzato effettivamente all'epoca, Pavese mi era già alquanto caro, ma anche per queste suggestioni parallele proto-sensuali soffusamente erotiche. In quel tempo tuttavia non riuscii a leggerne più di un paio di romanzi, "La luna e i falò" e "La casa in collina". I travagli spirituali dell'adolescenza mi impedirono di potermi addentrare ulteriormente in quel mondo dello scrittore piemontese di per sè già così pregno di analisi del dolore e del travaglio di vivere.
L'adolescenza può avere i suoi aspetti positivi (a dire il vero non ne ricordo poi così tanti), ma la possiamo vedere anche come una grossa ferita scoperta. E per me Pavese a quei tempi era sale fino versato sulla ferita.
Oggi (pur rimanendone un sacco tuttora irrisolti) molti dei fantasmi dell'adolescenza son riuscito a cacciarli in soffitta ed altri si sono tramutati in grossi peluche che sanno anche farmi compagnia. In questa ottica spirituale ruminata dal tempo, Pavese mi è tornato incontro.
E mi sembra di aver capito un altro aspetto della mia riconciliazione con questo artista.
Pavese è lo scrittore della domenica.
Non nel senso di un presunto dilettantismo, intendiamoci, non mi sognerei mai di dire una simile eresia. Pavese è uno dei più grandi interpreti della "sacralità" della parola.
Ma è scrittore della domenica perchè (pur non avendolo mia detto nessuno, credo, in questi termini: sto parlando nell'ambito di una mia metafora) forse meglio di ogni altro ha espresso il senso esistenziale della domenica, facendone uno dei motivi fondanti della sua poetica. La domenica come antitesi suprema del sabato del villaggio, come spegnimento delle speranze verso il domani. La domenica come momento dell'acuta cupezza del senso del dovere di vivere.
Volendo combinare ancora il dato letterario col mio personale percorso biografico, aggiungerei che forse questo aspetto di Pavese sono riuscito ad afferrarlo solo oggi che mi sto un po' riconciliando con lo spirito della domenica, oggi che non la vivo più con quell'angoscia greve dell'adolescenza, oggi che mi passa via leggermente meglio, sempre ingessata nel suo mantello da governante severa ed ottusa, ma un po' meno burbera di un tempo.
Ed è stato bello riaccorgermi come Pavese sia anche uno dei più grandi creatori di "epifanie brevi", ma intensissime, delle quali ho riportato due superbi esempi in apertura.
Pavese stava in sospeso nei miei interessi narrativi da parecchi anni. Lo avevo incontrato praticamente da ragazzino, una di quelle letture per la scuola che ti fanno fare durante le vacanze estive o di Natale. Nel mio caso la dolce imposizione era inoltre venuta da una prof. di italiano non bella nel senso canonico, ma intensamente fascinosa in un modo che definire adesso, col senno di poi, "pavesiano", sarebbe del tutto pertinente.
Non solo dunque, per il fatto di averlo già apprezzato effettivamente all'epoca, Pavese mi era già alquanto caro, ma anche per queste suggestioni parallele proto-sensuali soffusamente erotiche. In quel tempo tuttavia non riuscii a leggerne più di un paio di romanzi, "La luna e i falò" e "La casa in collina". I travagli spirituali dell'adolescenza mi impedirono di potermi addentrare ulteriormente in quel mondo dello scrittore piemontese di per sè già così pregno di analisi del dolore e del travaglio di vivere.
L'adolescenza può avere i suoi aspetti positivi (a dire il vero non ne ricordo poi così tanti), ma la possiamo vedere anche come una grossa ferita scoperta. E per me Pavese a quei tempi era sale fino versato sulla ferita.
Oggi (pur rimanendone un sacco tuttora irrisolti) molti dei fantasmi dell'adolescenza son riuscito a cacciarli in soffitta ed altri si sono tramutati in grossi peluche che sanno anche farmi compagnia. In questa ottica spirituale ruminata dal tempo, Pavese mi è tornato incontro.
E mi sembra di aver capito un altro aspetto della mia riconciliazione con questo artista.
Pavese è lo scrittore della domenica.
Non nel senso di un presunto dilettantismo, intendiamoci, non mi sognerei mai di dire una simile eresia. Pavese è uno dei più grandi interpreti della "sacralità" della parola.
Ma è scrittore della domenica perchè (pur non avendolo mia detto nessuno, credo, in questi termini: sto parlando nell'ambito di una mia metafora) forse meglio di ogni altro ha espresso il senso esistenziale della domenica, facendone uno dei motivi fondanti della sua poetica. La domenica come antitesi suprema del sabato del villaggio, come spegnimento delle speranze verso il domani. La domenica come momento dell'acuta cupezza del senso del dovere di vivere.
Volendo combinare ancora il dato letterario col mio personale percorso biografico, aggiungerei che forse questo aspetto di Pavese sono riuscito ad afferrarlo solo oggi che mi sto un po' riconciliando con lo spirito della domenica, oggi che non la vivo più con quell'angoscia greve dell'adolescenza, oggi che mi passa via leggermente meglio, sempre ingessata nel suo mantello da governante severa ed ottusa, ma un po' meno burbera di un tempo.
Ed è stato bello riaccorgermi come Pavese sia anche uno dei più grandi creatori di "epifanie brevi", ma intensissime, delle quali ho riportato due superbi esempi in apertura.
4 commenti:
la domenica ha perso da tantissimo tempo il sapore di vuoto doloroso che aveva per me. solo qualche volta torna, quando perdi qualcuno ad esempio, qualcuno che faceva parte della domenica, come un genitore. adesso è un giorno in cui spesso lavoro lo stesso, oppure in cui vado a camminare. un giorno che ha in sé la speranza di una buona settimana dietro l'angolo :-) bello scritto gilly buona settimana :-)
grazie Farly...anche per me infatti l'effetto domenica si è diluito col tempo...a volte si può ripresentare, certo, ma mi sento un po' più capace di difenderemi, ora...una cosa buffa e prosaica che per me è intervenuta negli ultimi anni è ignorare quasi completamente il campionato di calcio :-) quello era molto abbinato alla tristezzza domenicale della mia adolescenza...ma per fortuna ho fatto la grande scoperta: senza calcio e senza la sua fasulla e farsesca competitività, si sta milioni di volte meglio :-)
Buona settimana a te Farly...grazie per la tua simpatia preziosa :-)
a me sul calcio mi vaccinò un fidanzato romanista che girava la domenica con tanto di radiolina... errori di gioventù mai più ripetuti :-)
frumper dice qui: gruppo di frombolieri tedeschi molto attivo nelle zone intorno a gubbio
il tifoso avvelena anche te: digli di smettere :-)
ahahahhaha :-) bellissimi i frumper...che ne dici allora dei favinki?...antica famiglia di ortolani polacchi, saliti recentemente alla ribalta per il gemellaggio fatto con il consorzio del pecorino romano :-)
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