Il mondo di Charlie Brown possiede una universalità poetica nella quale credo ciascuno possa ritrovare almeno un tratto della propria personalità, dei propri atteggiamenti, delle proprie fissazioni.
Se dovessi paragonarmi ad uno dei personaggi dei Peanuts, sarei indeciso fra Charlie Van Pelt e Linus Brown.
No, non sto facendo confusione.
Il fatto è che per scovare fra quei teneri bambinetti esistenzialisti un tipo umano che possa assomigliare al mio, si dovrebbe fare una fusione dei caratteri del simpatico crapetta-pelata e del mini-nevrotico infagiolato davanti alla tele.
Rimanendo però sull’immagine di Linus, esiste una sua tipicità che sento anche tutta mia: l’attaccamento alla copertina di lana. Ovviamente la cosa non si è specificata nel mio caso negli stessi precisi modi di Linus. Un personaggio diventa infatti un vero e proprio “tipo narrativo” quando la sua portata poetica è talmente ampia da riuscire ad includere moltissimi particolari esistenziali individuali, pur senza riprodurli pedissequamente.
Un atteggiamento da copertina di Linus, io l’ho sempre avuto con indumenti, scarpe ed ammennicoli anti-nudistici vari. Oggi sono un po’ cambiato, ma la mia essenza sostanziale rimane ancora.
A causa di un misto di pigrizia, senso agorafobico del vestiario e titubanza verso il cambiamento, ogni volta che c’è da comprare un nuovo accessorio da indossare, tendo a cadere in un labirinto immobilista stile “Soviet Supremo della mutanda vecchia”.
Di riflesso a questa cosa, quando comincio ad affezionarmi ad una braga, una maglietta, una sciarpa, una scarpa o simili, userei sempre quelle e le porto fino a sfiorare livelli d’usura raggiunti forse solo coi vestiti dei manichini usati nei crash-test.
Il mio capolavoro “linusiano” lo raggiunsi però con un giubbetto divenuto in pratica il mio “alter ego” per lungo tempo. Era fatto sulla foggia dei giubbetti da college americano, simile a quelli che indossavano Richie o Potsy in Happy Days, però con alcuni dettagli leggermente più seriosi, tipo la tinta (blu, con le righine dei polsini e del colletto alternate rosse) e una foderina interna bianca in simil-raso o falsa-seta, che dava quel tocco pacchiano sulla pelle, quindi non visto all’esterno.
La mia affezione per quel giubbetto si sviluppò oltremisura. Lo mettevo a scuola, lo mettevo per fare due tiri a basket al campetto, lo mettevo in bici e a piedi, lo mettevo dal lunedì al sabato, mentre la domenica invece lo indossavo, lo indossavo per Natale, Pasqua e tutte le feste comprese fra oltre una decina di autunni ed altrettanti inizi primavera. L’ho misi tanto che era divenuto super-familiare anche ai miei amici.
Non ne ho mai approfittato perché sono rispettoso della dignità umana dei giubbetti, ma arrivato ad un certo punto, le volte che non me la sentivo di uscire di casa, al mio posto avrei potuto mandare in giro lui, che di certo aveva ormai acquisito una personalità ben più spiccata della mia.
In quel periodo poi, quando magari ero lì insieme agli amici e non mi andava tanto di parlare, loro non mi giudicavano il solito asociale di sempre, perché tanto c’era il mio giubbetto che faceva la mia parte di compagnia.
Eravamo una bella copia insomma, io e il mio giubbetto.
Fino alla sua malinconica uscita di scena. Si sa che le peggiori nemiche della “linusità” sono le mamme. Loro non sanno cogliere l’anarchica poeticità insita nel portare gli stessi jeans per un mese filato, l’indomita fierezza del calzino che mostra senza sprezzo del pericolo il ditone ribaldo.
Avevo difeso strenuamente il mio giubbetto attraverso gli assalti delle mode stagionali, e soprattutto l’avevo tutelato dalle pretese materne di rottamazione in cambio di ben più borghesi e prosaici paletot o loden.
Ma venne l’epoca della terribile guerra dei Balcani e con essa una raccolta benefica di indumenti usati organizzata dalla Caritas a favore di quei popoli martoriati. Mia mamma colse la palla al balzo, e pensò bene di unire al gesto umanitario anche un gesto di svecchiamento guardaroba filiale.
Fu una di quelle volte che andai più vicino al correre nell’ufficio competente per la rinuncia della “matria potestà”, causa violazione dei diritti umani di giubbetti anziani. Mi consolò il fatto che, se c’era un po’ di buono in quel giubbetto, andava a finire in un posto in cui ne avevano davvero bisogno.
E fu così che, nonostante la rinnovata attenzione mia e dei miei amici per tutte le edizioni dei diversi tg, metti il caso fosse capitato di vederlo indosso a qualche miliziano serbo o bosniaco, del mio giubbetto non seppi più nulla.
Spero solo che in quel mare di disperazione e di male, abbia portato almeno un briciolo della bontà bislacca che di solito la gente mi attribuisce.
Se dovessi paragonarmi ad uno dei personaggi dei Peanuts, sarei indeciso fra Charlie Van Pelt e Linus Brown.
No, non sto facendo confusione.
Il fatto è che per scovare fra quei teneri bambinetti esistenzialisti un tipo umano che possa assomigliare al mio, si dovrebbe fare una fusione dei caratteri del simpatico crapetta-pelata e del mini-nevrotico infagiolato davanti alla tele.
Rimanendo però sull’immagine di Linus, esiste una sua tipicità che sento anche tutta mia: l’attaccamento alla copertina di lana. Ovviamente la cosa non si è specificata nel mio caso negli stessi precisi modi di Linus. Un personaggio diventa infatti un vero e proprio “tipo narrativo” quando la sua portata poetica è talmente ampia da riuscire ad includere moltissimi particolari esistenziali individuali, pur senza riprodurli pedissequamente.
Un atteggiamento da copertina di Linus, io l’ho sempre avuto con indumenti, scarpe ed ammennicoli anti-nudistici vari. Oggi sono un po’ cambiato, ma la mia essenza sostanziale rimane ancora.
A causa di un misto di pigrizia, senso agorafobico del vestiario e titubanza verso il cambiamento, ogni volta che c’è da comprare un nuovo accessorio da indossare, tendo a cadere in un labirinto immobilista stile “Soviet Supremo della mutanda vecchia”.
Di riflesso a questa cosa, quando comincio ad affezionarmi ad una braga, una maglietta, una sciarpa, una scarpa o simili, userei sempre quelle e le porto fino a sfiorare livelli d’usura raggiunti forse solo coi vestiti dei manichini usati nei crash-test.
Il mio capolavoro “linusiano” lo raggiunsi però con un giubbetto divenuto in pratica il mio “alter ego” per lungo tempo. Era fatto sulla foggia dei giubbetti da college americano, simile a quelli che indossavano Richie o Potsy in Happy Days, però con alcuni dettagli leggermente più seriosi, tipo la tinta (blu, con le righine dei polsini e del colletto alternate rosse) e una foderina interna bianca in simil-raso o falsa-seta, che dava quel tocco pacchiano sulla pelle, quindi non visto all’esterno.
La mia affezione per quel giubbetto si sviluppò oltremisura. Lo mettevo a scuola, lo mettevo per fare due tiri a basket al campetto, lo mettevo in bici e a piedi, lo mettevo dal lunedì al sabato, mentre la domenica invece lo indossavo, lo indossavo per Natale, Pasqua e tutte le feste comprese fra oltre una decina di autunni ed altrettanti inizi primavera. L’ho misi tanto che era divenuto super-familiare anche ai miei amici.
Non ne ho mai approfittato perché sono rispettoso della dignità umana dei giubbetti, ma arrivato ad un certo punto, le volte che non me la sentivo di uscire di casa, al mio posto avrei potuto mandare in giro lui, che di certo aveva ormai acquisito una personalità ben più spiccata della mia.
In quel periodo poi, quando magari ero lì insieme agli amici e non mi andava tanto di parlare, loro non mi giudicavano il solito asociale di sempre, perché tanto c’era il mio giubbetto che faceva la mia parte di compagnia.
Eravamo una bella copia insomma, io e il mio giubbetto.
Fino alla sua malinconica uscita di scena. Si sa che le peggiori nemiche della “linusità” sono le mamme. Loro non sanno cogliere l’anarchica poeticità insita nel portare gli stessi jeans per un mese filato, l’indomita fierezza del calzino che mostra senza sprezzo del pericolo il ditone ribaldo.
Avevo difeso strenuamente il mio giubbetto attraverso gli assalti delle mode stagionali, e soprattutto l’avevo tutelato dalle pretese materne di rottamazione in cambio di ben più borghesi e prosaici paletot o loden.
Ma venne l’epoca della terribile guerra dei Balcani e con essa una raccolta benefica di indumenti usati organizzata dalla Caritas a favore di quei popoli martoriati. Mia mamma colse la palla al balzo, e pensò bene di unire al gesto umanitario anche un gesto di svecchiamento guardaroba filiale.
Fu una di quelle volte che andai più vicino al correre nell’ufficio competente per la rinuncia della “matria potestà”, causa violazione dei diritti umani di giubbetti anziani. Mi consolò il fatto che, se c’era un po’ di buono in quel giubbetto, andava a finire in un posto in cui ne avevano davvero bisogno.
E fu così che, nonostante la rinnovata attenzione mia e dei miei amici per tutte le edizioni dei diversi tg, metti il caso fosse capitato di vederlo indosso a qualche miliziano serbo o bosniaco, del mio giubbetto non seppi più nulla.
Spero solo che in quel mare di disperazione e di male, abbia portato almeno un briciolo della bontà bislacca che di solito la gente mi attribuisce.
6 commenti:
sigh condoglianze... a me la mamma (pace a lei) mi butto nell'immondizia tutta la collezione dei fumetti marvel, con la scusa del trasloco... c'erano vari n.1 sigh oggi con quelli mi ci compravo mezzo guardaroba firmato... :-( e non ho neppure la consolazione che abbiano felicitato qualcun'altro ;-)
accid...che spreco, Farly...
Di quali super-eroi avevi il numero 1?
Io, per un ingenuo prestito a cugini lontani, mi giocai il numero 1 di Zagor...lì però me la sono proprio cercata :-)
Ma quello di Tex lo difenderò a spada tratta :-)
cosa dire di più? Floweeki :-)
(...blogspot leva sempre d'impaccio quando non si trovano le parole giuste :-)
l'uomoragno e i fantastici quattro... se ci penso .... ecco stumwu
che spreco davvero...meglio non pensarci, Farly...caerityl allora :-)
Sono arrivata qui, come da te suggerito di là.
Ti capisco, eccome se ti capisco!
Non te l'ho ancora detto, perché non ci credi, ma il mio ascendente corrisponde al tuo segno zodiacale per cui abbiamo in comune parecchie cosette ...
Teeeeeenero Gillipiiiiiix!!!!
@->Occhi Blu: eheheheh :-) grazie OuBee per tutte le letture arretrate che ti sei fatta :-) ora credo di essermi messo in pari anche con le risposte ai tuoi commenti...ascendente...discendente...non ne capisco molto, lo sai :-)
grazie ancora...
Bacini a pareggio di bilancio :-)
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