Cari amici viandanti per pensieri, «…a’ son stà a li vùtasión!…».
No, no, niente paura, non ho intenzione di propinarvi un’ulteriore indecifrabile puntata dialettale. Prometto di scrivervi oggi, se non proprio nell’italiano dantesco, almeno in quello del professor Vattelapesco.
Allora, ricomincio: cari amici viandanti per pensieri, sono stato alle votazioni!
Intendo ai seggi, a fare lo scrit…lo scrot…lo scrutatore.
Sebbene abbia ormai superato da un po’ la maggiore età, si trattava di un’esperienza da me affrontata solo in due occasioni, compresa quella di domenica e lunedì scorsi. Un’esperienza che son contento di aver fatto, anche se in futuro preferirei centellinarne la reiterazione, per non dire azzerarne la ripetizione.
Aveva un bello scrivere il buon Lord Chesterfield al suo figliolo, nel lontano 1774, riguardo alla convenienza del darsi più o meno da fare nelle pratiche amorose più concrete, obiettando che «…La posizione è ridicola, il piacere effimero, la fatica tanta…». Gli fosse arrivata a casa la nomina di scrutatore di seggio, avrebbe risposto al volo: «…Ehm…no grazie…penso che per stavolta mi sacrificherò standomene a casa a farmi una modesta e risibilissima chiavata!…».
«…Per me si va nel tempo latente,
per me si va ne l’eterno torpore,
per me si va tra la “burro crata” mente,
lasciate di guadagno ogni ardore,
oh voi ch’entrate!…».
Queste parole dovrebbe essere istoriate a fianco dei numeretti delle sezioni in cui, nel giro di due giorni, un manipolo di sventurati entrano per sbattere via 25 ore nette su 48 della propria vita. Dico così, precisando però subito il significato più pertinente della mia affermazione, ossia il grande senso di ammirazione e riconoscenza che tutti dovrebbero nutrire per questi poveri diavoli scrutinanti, sacrificati sull’altare del senso civico.
Come per ogni dote o caratteristica del corredo comportamentale umano, anche la sensibilità civica non fa eccezione, presentando uno squilibrio distributivo ben marcato. Sono convinto che esista una legge sperequativa misterica e sotterranea secondo la quale, per ogni individuo che eccelle in un qualche ambito, esiste il suo omologo opposto che scarseggia nel medesimo settore esistenziale.
A far sì che la legge venga applicata con rigore, ci pensa lo SBU, «Sbilanciatore Biosociale Universale», che tutto vede, tutto soprintende e tutto fa in modo che sia mal suddiviso.
Vi porto solo alcuni esempi.
Nel capitolo “conquiste erotiche”, lo SBU ha abbinato me e Mick Jagger.
Nel capitolo “pane e volpe”, Rommel venne abbinato ad un fornaio arruffone che cuoceva le ciambelle ed i buchi sempre in giorni diversi.
Per il capitolo “piaggeria giornalistica” invece, Emilio Fede è stato abbinato ad un vecchio direttore della Pravda dell’epoca d’oro Brezneviana (ovviamente, col tovarisch a fare da piatto più leggero della bilancia).
Alla fine tutto si riallinea e così si spiega anche come mai per ogni scrutatore esista in qualche parte del mondo, opposto e contrario, un astensionista.
Il che a sua volta spiega anche come il mestiere di scrutatore non si addica particolarmente a me che ho fatto della “luna dell’avvenuto” e della bandiera dell’Asocialismo il vessillo primario della mia mimetica esistenza defilata.
Insomma, a parte ‘sto sacco di menate, alla fine son stato nominato: «Scro…(…e dai!)…Scrutatore Ufficiale dei Sacri Territori di Gillipixiland». Così nel pomeriggio di sabato, mi reco lemme lemme alla vecchia Gillipixi-School, glorioso istituto scolastico che vide le mie incostanti gesta studentesche di sbarbatello mediano, per fare i preliminari di questo amplesso elettorale. E qui, già che ne avevo poco voglia, ecco profilarsi un primo piccolo scoglio: sono stato assegnato al seggio di Anti-Gillipixiland!
Si sa che per ogni paesello italico esiste il suo anti-paesello caratterialmente e spiritualmente pseudo-opposto, ma simil-contrario. Una sorta di antimateria territoriale che di solito confina esattamente con la sua materia di riferimento, entrambe prodotto di una serie di decennali attriti determinati intorno ai rispettivi fulcri di ciascuno dei due campanili.
Il motivo primigenio e scatenante della secolare tenzone si perde di solito nella notte dei tempi. Nessuno sa bene di preciso perché quelli del paesello appresso, parente-serpente del proprio, “ti devono” stare sulle palle. Forse, in origine, più o meno cinque secoli fa, una mucca sbadata, pur tenendo i quattro zoccoli ben dentro i suoi confini legittimi, si era sventatamente sporta di deretano oltre il limitar di un campo del paesello a fianco, depositando i suoi fumosi ed abbondanti prodotti sul suolo altrui.
Tutto insomma deve essere stato originato da una cagata più o meno del genere, ma da allora i due paeselli non si possono sopportare.
Lo stesso è successo fra Gillipixiland ed Anti-Gillipixiland.
Pensate che (e questa è storia vera) in occasione di un’alluvione tardo settecentesca, gli abitanti di Anti-Gillipixiland, minacciati dall’incombere acqueo che spingeva i fragili e bassi argini “limitrofanti” i due paeselli, pensarono bene di praticare delle amabili fenditure lungo le medesime barriere idrauliche, per far sfogare il flusso fangoso su Gillipixiland, rimanendo loro col culo all’asciutto, e regalando a noi l’umidore ai malleoli.
Simpatici, vero?
Potete allora ben capire in quale bel nido di antigillipixiani mi ero andato a ficcare, incastrato in quel seggio. Ma alla fine poi, da questo punto di vista, non è stata questione così grave. Sarà che ormai non ci sono più i campanilisti di una volta, ma in quelle atmosfere tipiche di Anti-Gillipixiland, mi sono trovato anche bene.
Quando sei scrutatore, il minimo che ti può capitare, per “traslazione verbale rispecchiata”, è star lì a scrutare e scrutinare. Scruti una teoria di facce per due giorni di fila e fai firme.
Firmi tutto e di tutto: registri, verbali, schede elettorali, scatole, pacchi, buste, sigilli, scatoloni, finestre, porte…se uno si cala troppo nella parte, rischia che arriva a casa per la pausa pranzo e firma pure suo nonno e tutti i maccheroni che ha nel piatto.
Le proporzioni burocratico-scartoffiacee di tutto il meccanismo votatorio sono così esagerate, antiquate, farraginose ed bizantineggianti, che un paio di mesi di quella roba lì avrebbero fatto crollare il Sacro Romano Impero con decadi e decadi di anticipo.
Vi accenno solo ad un paio di “particolari perla”.
Per completare le varie operazioni, in diversi casi serve del nastro adesivo da pacchi, quello di carta, bello largo. Beh, non ci crederete, ma nel corredo ministeriale è dato in dotazione, come succedaneo di quello adesivo, anche il nastro gommato, una sorta di striscione lungo con un lato leggermente attaccaticcio, da umettare nella vana speranza di fargli assumere l’utopistica vigoria incollatoria che mia raggiungerà. Ci scommetto che l’ultimo ad usare siffatto reperto del Paleolitico della cancelleria, fu il vecchio Franti, quella volta che attaccò le braghe di Garrone alla sedia (e tra l’altro, per la scarsità del mezzo, lo scherzo non gli riuscì nemmeno).
Altro gioiello: fra i verbali utilizzati per scrutinare, ce n’era un tipo realizzato con carta così lucida che praticamente repelleva il tratto delle matite blu e rosse appositamente fornite per marcare i voti.
Il bello è che la buona notizia è stata rimarcata con apposita segnalazione ministeriale a mezz’ora circa dall’inizio dello spoglio, con i poveri impiegati comunali che erano già andati a buttare all’aria i cassetti dell’epoca dell’ultimo Podestà, per racimolare almeno un paio di matitine con mina morbida 2HB, risicate, rosicate e mezze ciucciate da generazioni di segretari e scrivani municipali.
Ad un certo punto, dopo la millesima firma, mi si è parata dinnanzi la visione dello spirito di Goffredo di Buglione, che in sella al proprio destriero, forte della sua lungimiranza medievale, guatava sdegnato la scena e, scartando di lato con un cenno di briglia deciso, mormorava fra sé e sé: «…Qual barbarie, quale inciviltà!...».
La presenza di un ottimo presidente di seggio, anzi presidentessa, ha per fortuna fatto sì che tutto si svolgesse al meglio. Come sempre in Italia, laddove il nucleo organizzativo sociale fallisce miseramente, il valore dei singoli ci mette una pezza.
Ho visto passare davanti a me tanti visi. Visi di gente che non vedevo da anni, alcuni proprio dal tempo delle scuole medie nel cui vetusto edificio ci siamo ritrovati per l’occasione. Ex-ragazzi, ormai dalla faccia d’uomini inoltrati, sono passati in rassegna davanti alla mia faccia da mai-ragazzo, forse ex-uomo un giorno.
Sono sfilate belle signore che il tempo ha solo reso più affascinanti e giovani virgulti femminei in fiore. E ancora fiere maschere di vecchi invecchiati bene e delicati volti di poco più che ragazzini con la tessera elettorale ancora implume, timbrata adesso per la prima volta.
Una signora si è persino garbatamente lamentata della faticosa distanza della sala del seggio dall’ingresso principale della scuola: «…Non tanto per me...», ha fatto notare, «…ma per gli anziani...», facendo passare forse come particolare secondario le 81 primavere caricate sulle sue spalle.
Alla fine tutto si è chiuso bene, anche se la spada di Damocle di uno spoglio infinito ha pesato sul capo di tutti fino al momento della verifica conclusiva. Cenni di leggendarie sciagure elettorali capitate in passato ad inermi scrutatori, segretari e presidenti, puntualmente girano in proposito nei diversi seggi, e si sprecano ogni volta con abbondanza di particolari kafkiani e “fratelli coheniani”. Vaghe notizie di commissioni elettorali rimaste intrappolate in una conta parossistica e ossessiva fino alla fine dei loro giorni, per espiare la colpa dello smarrimento di una scheda. Mitologiche saghe di scrutatori suicidi con la matita copiativa, su istigazione di coriacei e tignosi rappresentanti di lista trincerati dietro la pretesa di un voto fantasma.
Ma la nostra presidente era una Giusta, nel cuore e nella mente. Ed ha veleggiato con leggerezza superba fra i meandri della casistica delle espressioni di voto più disparate immaginabili, traghettandoci alla fine nel porto sicuro della quadratura del conteggio, con buon anticipo su tutte le altre sezioni di Gillipixiland.
Così ora potrà dire con coscienza cristallina di essersi meritati quei grassi e lauti 150 euro di compenso (120 agli scrutatori), per 25 ore totali di lavoro, 14 delle quali in orario festivo.
Adesso che ci penso, questo deve essere proprio uno dei pochi casi in cui lo SBU («Sbilanciatore Biosociale Universale») fa le cose veramente alla grande: ad un componente di seggio abbina infatti sempre due, se non tre, astensionisti.
La prossima volta, mica mi presento alle urne: mi sa che è l’unico modo per prendermi una piccola, insipida rivincita su Mick Jagger.
No, no, niente paura, non ho intenzione di propinarvi un’ulteriore indecifrabile puntata dialettale. Prometto di scrivervi oggi, se non proprio nell’italiano dantesco, almeno in quello del professor Vattelapesco.
Allora, ricomincio: cari amici viandanti per pensieri, sono stato alle votazioni!
Intendo ai seggi, a fare lo scrit…lo scrot…lo scrutatore.
Sebbene abbia ormai superato da un po’ la maggiore età, si trattava di un’esperienza da me affrontata solo in due occasioni, compresa quella di domenica e lunedì scorsi. Un’esperienza che son contento di aver fatto, anche se in futuro preferirei centellinarne la reiterazione, per non dire azzerarne la ripetizione.
Aveva un bello scrivere il buon Lord Chesterfield al suo figliolo, nel lontano 1774, riguardo alla convenienza del darsi più o meno da fare nelle pratiche amorose più concrete, obiettando che «…La posizione è ridicola, il piacere effimero, la fatica tanta…». Gli fosse arrivata a casa la nomina di scrutatore di seggio, avrebbe risposto al volo: «…Ehm…no grazie…penso che per stavolta mi sacrificherò standomene a casa a farmi una modesta e risibilissima chiavata!…».
«…Per me si va nel tempo latente,
per me si va ne l’eterno torpore,
per me si va tra la “burro crata” mente,
lasciate di guadagno ogni ardore,
oh voi ch’entrate!…».
Queste parole dovrebbe essere istoriate a fianco dei numeretti delle sezioni in cui, nel giro di due giorni, un manipolo di sventurati entrano per sbattere via 25 ore nette su 48 della propria vita. Dico così, precisando però subito il significato più pertinente della mia affermazione, ossia il grande senso di ammirazione e riconoscenza che tutti dovrebbero nutrire per questi poveri diavoli scrutinanti, sacrificati sull’altare del senso civico.
Come per ogni dote o caratteristica del corredo comportamentale umano, anche la sensibilità civica non fa eccezione, presentando uno squilibrio distributivo ben marcato. Sono convinto che esista una legge sperequativa misterica e sotterranea secondo la quale, per ogni individuo che eccelle in un qualche ambito, esiste il suo omologo opposto che scarseggia nel medesimo settore esistenziale.
A far sì che la legge venga applicata con rigore, ci pensa lo SBU, «Sbilanciatore Biosociale Universale», che tutto vede, tutto soprintende e tutto fa in modo che sia mal suddiviso.
Vi porto solo alcuni esempi.
Nel capitolo “conquiste erotiche”, lo SBU ha abbinato me e Mick Jagger.
Nel capitolo “pane e volpe”, Rommel venne abbinato ad un fornaio arruffone che cuoceva le ciambelle ed i buchi sempre in giorni diversi.
Per il capitolo “piaggeria giornalistica” invece, Emilio Fede è stato abbinato ad un vecchio direttore della Pravda dell’epoca d’oro Brezneviana (ovviamente, col tovarisch a fare da piatto più leggero della bilancia).
Alla fine tutto si riallinea e così si spiega anche come mai per ogni scrutatore esista in qualche parte del mondo, opposto e contrario, un astensionista.
Il che a sua volta spiega anche come il mestiere di scrutatore non si addica particolarmente a me che ho fatto della “luna dell’avvenuto” e della bandiera dell’Asocialismo il vessillo primario della mia mimetica esistenza defilata.
Insomma, a parte ‘sto sacco di menate, alla fine son stato nominato: «Scro…(…e dai!)…Scrutatore Ufficiale dei Sacri Territori di Gillipixiland». Così nel pomeriggio di sabato, mi reco lemme lemme alla vecchia Gillipixi-School, glorioso istituto scolastico che vide le mie incostanti gesta studentesche di sbarbatello mediano, per fare i preliminari di questo amplesso elettorale. E qui, già che ne avevo poco voglia, ecco profilarsi un primo piccolo scoglio: sono stato assegnato al seggio di Anti-Gillipixiland!
Si sa che per ogni paesello italico esiste il suo anti-paesello caratterialmente e spiritualmente pseudo-opposto, ma simil-contrario. Una sorta di antimateria territoriale che di solito confina esattamente con la sua materia di riferimento, entrambe prodotto di una serie di decennali attriti determinati intorno ai rispettivi fulcri di ciascuno dei due campanili.
Il motivo primigenio e scatenante della secolare tenzone si perde di solito nella notte dei tempi. Nessuno sa bene di preciso perché quelli del paesello appresso, parente-serpente del proprio, “ti devono” stare sulle palle. Forse, in origine, più o meno cinque secoli fa, una mucca sbadata, pur tenendo i quattro zoccoli ben dentro i suoi confini legittimi, si era sventatamente sporta di deretano oltre il limitar di un campo del paesello a fianco, depositando i suoi fumosi ed abbondanti prodotti sul suolo altrui.
Tutto insomma deve essere stato originato da una cagata più o meno del genere, ma da allora i due paeselli non si possono sopportare.
Lo stesso è successo fra Gillipixiland ed Anti-Gillipixiland.
Pensate che (e questa è storia vera) in occasione di un’alluvione tardo settecentesca, gli abitanti di Anti-Gillipixiland, minacciati dall’incombere acqueo che spingeva i fragili e bassi argini “limitrofanti” i due paeselli, pensarono bene di praticare delle amabili fenditure lungo le medesime barriere idrauliche, per far sfogare il flusso fangoso su Gillipixiland, rimanendo loro col culo all’asciutto, e regalando a noi l’umidore ai malleoli.
Simpatici, vero?
Potete allora ben capire in quale bel nido di antigillipixiani mi ero andato a ficcare, incastrato in quel seggio. Ma alla fine poi, da questo punto di vista, non è stata questione così grave. Sarà che ormai non ci sono più i campanilisti di una volta, ma in quelle atmosfere tipiche di Anti-Gillipixiland, mi sono trovato anche bene.
Quando sei scrutatore, il minimo che ti può capitare, per “traslazione verbale rispecchiata”, è star lì a scrutare e scrutinare. Scruti una teoria di facce per due giorni di fila e fai firme.
Firmi tutto e di tutto: registri, verbali, schede elettorali, scatole, pacchi, buste, sigilli, scatoloni, finestre, porte…se uno si cala troppo nella parte, rischia che arriva a casa per la pausa pranzo e firma pure suo nonno e tutti i maccheroni che ha nel piatto.
Le proporzioni burocratico-scartoffiacee di tutto il meccanismo votatorio sono così esagerate, antiquate, farraginose ed bizantineggianti, che un paio di mesi di quella roba lì avrebbero fatto crollare il Sacro Romano Impero con decadi e decadi di anticipo.
Vi accenno solo ad un paio di “particolari perla”.
Per completare le varie operazioni, in diversi casi serve del nastro adesivo da pacchi, quello di carta, bello largo. Beh, non ci crederete, ma nel corredo ministeriale è dato in dotazione, come succedaneo di quello adesivo, anche il nastro gommato, una sorta di striscione lungo con un lato leggermente attaccaticcio, da umettare nella vana speranza di fargli assumere l’utopistica vigoria incollatoria che mia raggiungerà. Ci scommetto che l’ultimo ad usare siffatto reperto del Paleolitico della cancelleria, fu il vecchio Franti, quella volta che attaccò le braghe di Garrone alla sedia (e tra l’altro, per la scarsità del mezzo, lo scherzo non gli riuscì nemmeno).
Altro gioiello: fra i verbali utilizzati per scrutinare, ce n’era un tipo realizzato con carta così lucida che praticamente repelleva il tratto delle matite blu e rosse appositamente fornite per marcare i voti.
Il bello è che la buona notizia è stata rimarcata con apposita segnalazione ministeriale a mezz’ora circa dall’inizio dello spoglio, con i poveri impiegati comunali che erano già andati a buttare all’aria i cassetti dell’epoca dell’ultimo Podestà, per racimolare almeno un paio di matitine con mina morbida 2HB, risicate, rosicate e mezze ciucciate da generazioni di segretari e scrivani municipali.
Ad un certo punto, dopo la millesima firma, mi si è parata dinnanzi la visione dello spirito di Goffredo di Buglione, che in sella al proprio destriero, forte della sua lungimiranza medievale, guatava sdegnato la scena e, scartando di lato con un cenno di briglia deciso, mormorava fra sé e sé: «…Qual barbarie, quale inciviltà!...».
La presenza di un ottimo presidente di seggio, anzi presidentessa, ha per fortuna fatto sì che tutto si svolgesse al meglio. Come sempre in Italia, laddove il nucleo organizzativo sociale fallisce miseramente, il valore dei singoli ci mette una pezza.
Ho visto passare davanti a me tanti visi. Visi di gente che non vedevo da anni, alcuni proprio dal tempo delle scuole medie nel cui vetusto edificio ci siamo ritrovati per l’occasione. Ex-ragazzi, ormai dalla faccia d’uomini inoltrati, sono passati in rassegna davanti alla mia faccia da mai-ragazzo, forse ex-uomo un giorno.
Sono sfilate belle signore che il tempo ha solo reso più affascinanti e giovani virgulti femminei in fiore. E ancora fiere maschere di vecchi invecchiati bene e delicati volti di poco più che ragazzini con la tessera elettorale ancora implume, timbrata adesso per la prima volta.
Una signora si è persino garbatamente lamentata della faticosa distanza della sala del seggio dall’ingresso principale della scuola: «…Non tanto per me...», ha fatto notare, «…ma per gli anziani...», facendo passare forse come particolare secondario le 81 primavere caricate sulle sue spalle.
Alla fine tutto si è chiuso bene, anche se la spada di Damocle di uno spoglio infinito ha pesato sul capo di tutti fino al momento della verifica conclusiva. Cenni di leggendarie sciagure elettorali capitate in passato ad inermi scrutatori, segretari e presidenti, puntualmente girano in proposito nei diversi seggi, e si sprecano ogni volta con abbondanza di particolari kafkiani e “fratelli coheniani”. Vaghe notizie di commissioni elettorali rimaste intrappolate in una conta parossistica e ossessiva fino alla fine dei loro giorni, per espiare la colpa dello smarrimento di una scheda. Mitologiche saghe di scrutatori suicidi con la matita copiativa, su istigazione di coriacei e tignosi rappresentanti di lista trincerati dietro la pretesa di un voto fantasma.
Ma la nostra presidente era una Giusta, nel cuore e nella mente. Ed ha veleggiato con leggerezza superba fra i meandri della casistica delle espressioni di voto più disparate immaginabili, traghettandoci alla fine nel porto sicuro della quadratura del conteggio, con buon anticipo su tutte le altre sezioni di Gillipixiland.
Così ora potrà dire con coscienza cristallina di essersi meritati quei grassi e lauti 150 euro di compenso (120 agli scrutatori), per 25 ore totali di lavoro, 14 delle quali in orario festivo.
Adesso che ci penso, questo deve essere proprio uno dei pochi casi in cui lo SBU («Sbilanciatore Biosociale Universale») fa le cose veramente alla grande: ad un componente di seggio abbina infatti sempre due, se non tre, astensionisti.
La prossima volta, mica mi presento alle urne: mi sa che è l’unico modo per prendermi una piccola, insipida rivincita su Mick Jagger.