"Un pensiero al giorno"
67 - "La notte in cui il mondo si fece gatto"
A casa mia non abbiamo mai avuto gatti. Sono stati loro ogni volta ad avere noi. Una strada provinciale sfiora giusto il giardino e questa per i cari pellicciotti è stata sempre un'insidia troppo crudele.
Non che le macchine raggiungessero velocità esorbitanti, in quel tratto. Però sufficienti per provocare alcune perdite feline molto dolorose e la conseguente decisione di non tenere più mici.
Non avevamo fatto i conti tuttavia con le vibrisse del caso, che reggono l'aleatorietà degli incroci fra vite umane e feline. Anche non facendo nulla per tirarne in casa di nuovi, loro capitavano. Poteva trattarsi di micetti del vicinato che trovavano più accoglienza da noi.
Oppure, di un trovatello rinvenuto mezzo spelacchiato ai bordi di un fosso. Fatto sta che la "felinità", provenendo da una parte o dall'altra, capitava in casa.
Allora facevo il liceo, intorno ai quindici o sedici anni, e orbitavano intorno a casa due gatte, una tigrata e una nera. I nomi? Tigris e Neris, mi sembra ovvio. Data la natura transeunte della loro presenza, vigeva la regola non scritta che la notte la dovessero passare fuori casa.
Erano mice di campagna, metà "nostre" e metà "dei" vicini, abituate troppo alla libertà per poterle confinare fra quattro mura. Apprezzavano un buon cuscino e laute dormite lungo il giorno, ma la notte era il loro regno, dal quale sarebbe stato anche ingiusto separarle.
La cosa si trasformava però in patemi smisurati, per me. Con due carezze d'ansia sull'uscio, le congedavo ogni sera, prima di dar loro la libera uscita e l'arrivederci all'indomani. Poi dopo, prima di prendere sonno, ascoltavo trepidante il rumore, pur non frequente, delle auto di passaggio davanti a casa, e sussultavo a ogni interruzione anomala delle accelerate, temendo c'entrassero qualcosa le due mice.
La mattina dopo era una festa, ritrovarle belle vispe, acciambellate sulla soglia, aspettando qualcosa per rifocillarsi dopo i trambusti notturni. E ogni notte, giù di nuovo, con l'apprensione gattesca a mille e un "udito meccanico" ormai talmente affinato da riuscire a capire persino la marca di olio che sfrigolava nei cilindri delle auto di passaggio.
Ma una notte capitò l'incanto. Ai tempi ero patito di basket, mi cibavo di palla a spicchi e dei fruscii che la retina fa quando infili il più pulito dei tiri a canestro. Venne l'occasione di poter assistere a una partita di serie A, a Bologna. Con mio fratello e altri fanatici di palla al cesto, si organizzò una spedizione in comitiva che fu tutta una magia di entusiasmi cestistici. Poter vedere dal vero quei beniamini spilungoni, quasi irreali nella loro grazia atletica. Lo spettacolo del palazzetto tutto gremito di un vociare multicolore, per noi che al massimo ci eravamo grattati le suole sul gelido campetto di asfalto del paese. Da quando salimmo sul treno e poi per tutta l'attesa, e dopo, durante la partita, e ancora nel viaggio di ritorno, a commentare l'incanto a cui avevamo partecipato, fu un'unica lunga emozione sportiva.
Rientrato a casa a notte ormai inoltrata, alle due mice non ci pensavo quasi. Ma una volta accesa la luce del salottino, la sorpresa delle sorprese, che giungeva come degno completamento dell'atmosfera trasognata lasciata in bocca dalla partita. Neris aveva partorito i suoi micini sulla poltrona e Tigris le faceva da paziente e amorosa infermiera, accucciata a fianco. Non ricordavo più che la nerina fosse incinta. Nell'equivoco del nostro rientro fuori orario, le bestiole avevano avuto licenza di soggiornare in casa oltre la loro usanza. I miei confidavano che le avremmo messe fuori noi.
Ma a quel punto era tutto un gioioso pasticcio, non sapevo bene cosa fare e ciò che feci fu proprio un bel niente. Lasciai tutta la piccola tribù a bivaccare in poltrona con l'allegra baraonda che avevano combinato e me ne andai a letto. E quella fu una delle poche notti di quel periodo che potei ascoltare i rumori delle auto in transito davanti a casa fregandomene alla grande, con l'animo ancora ricolmo di meraviglia sportiva e sicurezza felina.
Raramente, in seguito, mi sono sentito così pervaso da un senso di totalità "micesca" tanto vasto, con le gatte belle comode in poltrona e le minacce del mondo tenute a bada dalle circostanze, per una volta fauste e sorridenti oltre ogni aspettativa. Mentre fuori, la volta del cielo, ne sono certo, si era ammantata della pelliccia di Neris, con leccatine di stelle color Tigris a farle da balia.
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