"Un pensiero al giorno"
68 - "La luce, il mistero, il sedere"
Ho visto un bel documentario su rai5, dedicato a uno dei miei artisti moderni preferiti, Edward Hopper. E fin qui non ci sarebbe nulla di straordinario, il mondo è pieno di gente che guarda la tele.
Se mi son messo a scrivere due righe in merito, è per un'intuizione notevole che la visione mi ha suggerito. Forse era una cosa che pensavo da tempo, ma non l'avevo mai esplicitata nelle mie riflessioni e carpita così chiaramente fino a ora.
Sul finire del documentario, gli autori hanno fatto una cosa a mio avviso strepitosa: hanno affiancato l'opera di Hopper a quella di Jackson Pollock. Meravigliosa suggestione, per me (e sicuramente non solo per me).
Se avete presente il modo di dipingere di Hopper, col suo "realismo misterico", e quello di Pollock, con i suoi astrattissimi sgocciolamenti di colore, direte di sicuro che non può esserci nulla di più distante come stile e modi espressivi.
E invece no, e questa è una delle infinite magie dell'arte: riuscire ad avvicinarsi al mistero della realtà e dell'esistenza partendo da prospettive all'apparenza distantissime, eppure pervenendo a carpirne un nucleo, sempre fuggevole, ma sempre unico e inequivocabile.
In foto riporto un quadro di Hopper del 1959, "Escursione nella filosofia", e uno di Pollock del 1952, "Convergenza".
Si può obiettare che il significato del primo sia molto più immediato e intuitivo di quello del secondo, perché per lo meno nell'opera hopperiana ci sono due persone, una stanza, una scena, riferimenti concreti precisi.
Ma se si osserva la tela di Hopper con occhio veramente"puro", ci si accorge che la tensione dell'arcano in atto al suo interno è altrettanto enigmatica e oscura della percezione che possiamo trarre dalle macchie di colore di Pollock.
Sia Hopper che Pollock inseguirono un'ossessione, per così dire: cercarono di sollevare il "velo di maya" che ammanta la realtà. Quella patina di illusorietà posata su ogni cosa, che ci distoglie dal cogliere la profondità dell'essere insita in ogni "ente" con cui abbiamo a che fare.
Di più, non credo si possa dire. I quadri vanno ascoltati con gli occhi, con molta pazienza e umiltà, fino a quando ci si accorge che un brandello di sintonia ha fatto breccia nella nostra comprensione. E comprensione è termine inesatto (ma non ne trovavo di migliori), perché un quadro viene dipinto proprio per dare forma in qualche modo all'inafferrabile, e perciò al "non comprensibile".
Chiudo solo con una nota, relativa a un dettaglio del quadro di Hopper in questione: un mistero nel mistero. A mio avviso, "Incursione nella filosofia" è una delle opere che, in tutta la storia dell'arte, meglio coglie il "mistero estetico" del sedere femminile.
Difficilmente, in altre opere, si è visto rappresentato questo dettaglio anatomico in maniera così vivida, impressionante, direi. Su quel sedere, si gioca una cesura drammatica che ne ha anche del portentoso. C'è tutto: l'irraggiungibilità dell'essenza femminile da parte del maschio; la vastità "terribile" del "contagio" sensuale; l'infinito femminino incontenibile da ogni definizione; l'ingovernabilità del "demone" erotico; l'incomunicabilità e l'umanamente impronunciabile; e al tempo stesso, tutti questi elementi mescolati all'ordinarietà del quotidiano, che alla fine, per paradosso, sembra donare a tutta la scena il tocco di mistero più intenso.
Insomma, tra Pollock e Hopper forse c'è giusto la differenza di un sedere...o forse no. Guardando bene fra una macchia pollockiana e l'altra, anche lì possiamo vedere le stesse cose del quadro di Hopper. E dato che raccontano tutto, racconteranno anche del mistero del mondo in un sedere.
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