"Un pensiero al giorno"
117 - "Innominazioni degne di nota"
Ci sono tante emozioni, sensazioni, impressioni (definibili anche come "dimensioni interiori") ben classificate con un loro nome appropriato e circostanziato. Ansia, gioia, apprensione, stupore, insensatezza, e così via. Tutti abbiamo più o meno idea di cosa si parla, quando sentiamo simili parole.
Ci sono poi certe sensazioni che sono così articolate e complesse, ma al tempo stesso legate a circostanze estremamente particolari, da non essere ancora state riassunte in una parola precisa a esse dedicata.
Una di queste la definirei "sensazione del ritorno da una gita scolastica in pullman, fermi in coda in autostrada, all'imbocco di una galleria fra gli Appennini, mentre fuori cala l'imbrunire, col pensiero rivolto al giorno dopo, e il corpo tutto immerso in struggimenti esistenziali".
Per rendere conto di sensazioni troppo composite, ovviamente occorrerebbe scrivere una poesia, o un racconto, o un romanzo. Ma questa del ritorno dalla gita credo possegga una sufficiente portata universale e sintetica, da poter essere condivisa da molti.
La gita scolastica ci coglieva in un'età particolarmente contorta e spensierata insieme. Alla partenza, si era colmi di speranze e apprensioni. Al ritorno, una sorta di pace interiore mista a rimpianto, con un pizzico di delusione, ci sorprendeva immancabilmente. Per le troppe paure coltivate prima di partire. Per come avremmo potuto goderci meglio certi momenti trascorsi durante quel viaggio. Per come tutto sommato le cose erano filate discretamente, e andava bene così.
La fermata davanti alla galleria, per un qualche intoppo del traffico, che si sapeva tuttavia si sarebbe risolto presto (ma un minimo di dubbio persisteva sempre), calava poi su questo generale clima dell'animo, come un elemento di sospensione spaziotemporale particolare. Il pullman non si muoveva; l'autostrada, col suo carattere claustrofobico, impediva momentaneamente di immaginarci un altrove possibile; e tutto ristagnava di chiacchiere stantie che ormai non riuscivamo più a tirar fuori dalle labbra, fruste ormai come una cicca troppo a lungo masticata.
Con gli amici-compagni di viaggio avevamo passato fin troppo tempo, esaurendo ogni argomento di dialogo, e non si vedeva l'ora di essere di nuovo con persone diverse, almeno per un po', oppure di poter stare addirittura in sacrosanta solitudine.
Si prendeva per le prime volte confidenza con la sciagurata realtà, secondo la quale il tempo, sporadicamente trascorso con diletto insieme a certe persone care, si può tramutare in uno snaturato macigno, quando la compresenza si allunghi oltre una certa misura.
Avevamo potuto vedere amici e insegnanti sotto prospettive diverse da quelle che riconoscevamo loro sino a quel momento. E questo, al di là della fattispecie legata al momento in atto, era un importante insegnamento generale: le persone sono più complicate di quel che sembra e hanno mille sfaccettature.
Ecco insomma spiegato come mai, in virtù di tutte queste sue implicazioni fondamentali (e tante altre ciascuno ne potrà aggiungere di proprie, secondo la sua personale sensibilità), la sensazione denominabile "da ritorno da una gita scolastica" mi sembra degna di essere annoverata fra le più alte esperibili da animo umano.
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