"Un pensiero al giorno"
140 - "Biblio-benessere"
Cosa ci si aspetta dalla lettura di un libro? L'interrogativo è sconfinato e piccolino al tempo stesso. Se infatti si parte annoverando la motivazione fondamentale, la più semplice, stranamente ci si accorge di aver già contemplato in essa anche tutte le più complesse possibili.
La motivazione più semplice e insieme onnicomprensiva è questa: un libro, lo si legge perché ci fa stare bene. Come accennavo già, si può vedere che tutte le altre motivazioni vanno a convergere in, e sono foriere di, tale "motivazione miliare". Si legge allora per il piacere di conoscere, per emozionarsi, per migliorarsi come persone, per trascorrere bei momenti, ecc., ecc. Ma tutti questi obiettivi sono presupposti dallo scopo del sentirsi bene (e insieme lo rendono possibile).
In questa prospettiva, il genere di libro scelto risulta quasi un dettaglio. Un romanzo è capace di far stare bene tanto quanto è in grado di farlo un saggio filosofico, un reportage giornalistico, un testo scientifico e così via.
Ciò che fa la differenza è una certa sapienza narrativa dell'autore. Nei casi più felici, essa è indipendente da generi, contenuti e modalità espressive. L'autore che possiede quel certo ineffabile modo di saper arrivare al cuore delle parole, rende il suo testo un veicolo di bellezza.
Tutte queste cose sono indirettamente dette alla perfezione, in un meraviglioso saggio di metodologia storiografica, scritto da uno dei padri della moderna disciplina storica. Sto parlando di "Apologia della storia o mestiere di storico" (1944) di Marc Bloch. Il bello di questo testo sta nel fatto di porsi esso stesso come espressione tangibile di quanto va raccontando in certe sue parti.
Ad esempio, quando mettendo in parallelo il modus operandi di un fresatore e quello di un liutaio, scrive:
"...tutti e due lavorano al millimetro; ma il fresatore usa strumenti meccanici di precisione; il liutaio si orienta, prima di tutto, con la sensibilità dell'orecchio e delle dita...".
Ora, in questa metafora il fresatore sta per "...l'espressione delle realtà del mondo fisico...", mentre il liutaio è "...l'espressione delle realtà del mondo spirituale..." (compito che pertiene in particolare allo storico, e in generale allo scrittore).
A questo punto, Bloch tira le somme del discorso con una fascinosissima domanda retorica:
"...Non sarebbe bene che il fresatore si contentasse dell'empirismo del liutaio, né che il liutaio avesse la pretesa di scimmiottare il fresatore. Si negherà che vi sia un 'tatto' delle parole come ve n'è uno della mano?...".
Tornando dunque al nostro argomento iniziale: i libri che ci fanno stare bene sono quelli che ci sanno toccare col 'tatto' incommensurabile da liutaio, auspicato da Marc Bloch.
Un 'tatto' di cui egli stesso dà prova continua in tanti meravigliosi passi del suo stesso libro, come ad esempio, laddove ci svela la quintessenza del concetto di disciplina storiografica:
"...l'oggetto della storia è, per natura, l'uomo. O meglio: gli uomini. Più che il singolare, favorevole all'astrazione, il plurale, che è il modo grammaticale della relatività, conviene a una scienza del diverso...".
["Apologia della storia", Marc Bloch (Einaudi - pag. 22)]
La storia come "...scienza del diverso...", il plurale come "...modo grammaticale della relatività...". Non sembra, di fronte alla meraviglia di tali espressioni, di stare al fianco di un liutaio che esegue il suo delicato, non quantificabile lavoro, nel momento stesso in cui ce lo racconta anche?
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