domenica 7 agosto 2016

"Un pensiero al giorno" 133 - "Molto più seri i miei negozi improbabili"

"Un pensiero al giorno"

133 - "Molto più seri i miei negozi improbabili"

Quando sono a tavola, faccio spesso una cosa che magari non va molto d'accordo col galateo. Tutte le briciole che cadono accidentalmente sulla tovaglia, le raccolgo e me le mangio. Lo stesso dicasi di quanto accade nel mio piatto. Non prendo mai più roba di quella che mi sento di mangiare, e ripulisco sempre tirando a lucido con la classica scarpetta, pur essa poco raccomandata dal bon ton.

Sì perché, se in gioco c'è la questione di non buttare via nemmeno un grammo di cibo, sapete cosa vi dico? Che io del galateo "...me ne pulisco il fondamento..." (mutuando una bellissima espressione letta su "Il consiglio d'Egitto" - Leonardo Sciascia - 1963).

Vedere sprecare roba da mangiare dovrebbe essere uno degli spettacoli più ripugnanti per ciascuno. Evitare di farlo dovrebbe essere una priorità civile fra le più fondamentali.

Avrete invece sicuramente letto tutti quanti nei giorni scorsi che solo in Italia ogni anno si getta cibo nel pattume per il valore equivalente di 12 miliardi di euro. Non so se ci si rende conto dell'enormità. 12 miliardi sono un'esagerazione, e poi siamo qui a parlare di crisi?

Ma la cosa più sconfortante della notizia, credo stia nel fatto che tale spreco viene in un certo senso elevato a sistema. Fra i maggiori responsabili ci sono infatti le catene di grande distribuzione, che scartano l'invenduto e tanta altra merce sacrificata nel nome di complicati quanto ottusi meccanismi commerciali massivi.

Ora, io sono un ignorante supremo e per di più, come diceva il sommo poeta (Roberto Freak Antoni), "...me mi piace scoreggiare...". Ma detto questo, qualche paradosso me lo pongo.

Se 12 miliardi di euro finiscono nel cesso ogni anno in forma di cibo, a parte la follia, l'immoralità, la schifezza, la megalo-schizofrenia sociale, che tutto questo denota, mi vien da riflettere su un'altra cosa. Chi ha lavorato per produrre quelle merci poi insanamente buttate, lo avrà fatto per nulla. Ogni anno dunque, viene chiesto a un considerevole numero di persone (l'equivalente di forza lavoro in grado di produrre 12 miliardi in generi alimentari) di fare un lavoro che non servirà alla fine assolutamente a una solenne stralaudata fava. Alla faccia della repubblica fondata sul lavoro. Io direi più precisamente, fondata sulla tara mentale e sull'assurdo.

Altro appunto. Si fa un gran strombazzare a destra e a manca della necessità di tornare a crescere, si invoca ad ogni piè sospinto l'aumento dei consumi. Ma che minchia vuoi crescere e consumare, che già sbattiamo via una montagna di roba ogni anno!

E il famoso PIL? Cresce anche quello proporzionalmente a quanto cibo sbattiamo via? Non c'è qualcosa di morboso, di molto malato, in tutto questo?

E tutto lo sfruttamento del suolo, dell'acqua, i prodotti chimici sparsi a valanga sui campi...anche questo sforzo e spreco di energia viene fatto in larga parte per l'aria che tira?

Ma simili dubbi forse è meglio non porseli troppo. Guai a turbare il profondo sonno del grande lobotomificio.

Ieri vi ho proposto una sequela di negozi improbabili. Mi sembra che siano molto più seri e responsabili quelli, di quanto ci tocca vedere nella sconsolante realtà.


1 commento:

Occhi blu ha detto...

A caccia di errori, che però non trovo (meglio per te!), sono arrivata a questo post che non avevo commentato.
Lo faccio ora.

1. Bello il pavimento a quadrati bianchi e neri! Ce l'avevo anch'io una volta, tanto tempo fa ...

2. Dopo aver visto le saponette usate in vendita per strada a La Habana (sì, sì proprio quella del leader maximo!) tantissimi anni fa, ho imparato a consumare il sapone fino all'ultimo centimetro, prima di gettarlo via.