"Un pensiero al giorno"
65 - "Datti una regolata"
Molte delle cose che scrivo hanno un sottofondo comune. Sia volontariamente, sia talvolta su un piano inconscio, nelle mie parole si celano spesso piccoli inni al "non misurabile".
Questa nostra epoca, "misurante" per eccellenza, sembra scordare sempre più un aspetto essenziale della realtà: una volta misurate le cose, siamo soltanto a metà della nostra naturale propensione a entrare in sintonia con esse.
Gli aspetti "non quantificabili" hanno una parte immensa nel determinare senso all'esistenza, eppure la tendenza generale va tutta nel senso del misurare come unica dimensione di riferimento.
Nella nostra giornata, abbiamo bisogno dei frutti della precisione misuratrice, ci servono strumenti, attrezzi, automobili, l'idea di denaro (e anche un po' del medesimo, spicciolo, nelle tasche) treni, case, edifici vari e così via. Ma poi queste cose diventano quasi un dettaglio, se magari soffriamo o gioiamo per amore, se gli altri ci deludono o ci gratificano, se il nostro animo si sente calato nella bellezza di una giornata di sole o anche di pioggia, a seconda dei gusti.
Il più gran promemoria della natura dell'uomo, inquantificabile fino in fondo, è dato dal linguaggio. Nel tempo, è stato tentato più volte e in diverse forme di rendere il linguaggio uno "strumento di precisione". Ad esempio, si è provato con la sua riduzione a strumento logico puro, ipotizzando un uso della lingua matematicizzato e del tutto privo di "scarti di senso". Per quanto queste ricerche abbiano fatto fare progressi fondamentali al pensiero, non sono tuttavia mai riuscite a domare il linguaggio fin nel suo intimo, laddove la sua natura fondamentale di forgiatore continuo di "significazione residuale" finisce sempre per emergere. In altre parole, la sua parte non misurabile.
Leggevo su un bel libro di Umberto Galimberti, "Il gioco delle opinioni", tante cose interessanti connesse a simili riflessioni. In particolare, lo studio del linguaggio da parte di Martin Heidegger (ermeneutica) e mi scuso se semplifico molto per ragioni di spazio.
Vari esempi interessanti, nell'etimo delle parole. "Concetto" come derivato di "cum capere", ossia "prendere", "afferrare", la dice lunga sulle modalità del pensiero occidentale inteso come appropriazione delle cose pensate. Dove invece Heidegger suggerisce una forma "meno possessiva" di pensiero, un suo maggior "lasciar essere", rinvenibile nella duplice accezione del termine tedesco corrispettivo, "denken" ("pensiero"), imparentato molto da vicino con il suo consimile "danken", che significa ringraziamento. Pensare come ringraziare, dunque, in un atteggiamento che risalta "l'ascolto dell'essere" e non l'appropriazione concettuale pura, come di fronte a una conquista da fare.
Ma poi, altri esempi belli, tipo "entusiasmo", con le sue basi nel greco "en-theos", indicante la divinità ("theos") che ci abita nei momenti (sommamente inquantificabili) del trasporto entusiastico. Oppure ancora, quando diciamo "magari", a corredo di un nostro desiderio, e non facciamo caso che anche qui c'è di mezzo la lontana radice greca, col termine "makaria", ossia "gioia", "felicità".
Insomma, non so più cosa volevo dire, eppure son contento di avervelo detto lo stesso, in un qualche modo. Chiudo riportando solo un altro simpatico esempio, seppur privo di fondamento etimologico, ma nondimeno ricco di poetica sfumatura.
Ho scoperto l'esistenza di un uccellino meraviglioso. La cosa buffa è che si chiama come lo strumento di misurazione per eccellenza, ma la sua bellezza sta tutta nel regno della non quantificabilità pura.
Si chiama regolo. Pare sia il pennuto più piccino d'Europa. Misura due piume e uno sputo, è una palletta di simpatia, e ha sulla minuscola capoccetta uno sbuffo di piume gialle così simile a una corona, da fargli guadagnare il suo nome, che sta infatti per "piccolo re" ("regulus").
Le immagini ovviamente non sono mie, ma se un giorno riuscirò mai a vederlo dal vero e magari (makaria) a fotografarlo, il mio entusiasmo (en-theos) non avrà paragoni. Nel frattempo, mi limito a pensare (denken) questo minuscolo "non misuratore", e lo ringrazio (danken) idealmente fin da ora per la sua incommensurabile poesia.