giovedì 5 maggio 2016

"Un pensiero al giorno" 43 - "Due per due fa sol la si"

"Un pensiero al giorno"

43 - "Due per due fa sol la si"

Ogni giorno siamo immersi in quel gran paradosso, ben celato ma nel contempo evidentissimo, che in fondo è l'essenza stessa della nostra esistenza. In noi convivono, si confondono, si mescolano, si contaminano e si influenzano a vicenda due anime.

Ovviamente, uso il termine "anima" esemplificando e categorizzando "ad hoc", ai fini del discorso: ben difficilmente, nell'effettività delle cose, sarà possibile e lecito tracciare qualsivoglia confine così preciso e analitico.

Ciò detto, una delle due anime è quantitativa, previdente, misuratrice, calcolante, progettuale. L'altra è spontanea, qualitativa, istintuale, votata all'aleatorietà, improvvisatrice, intuitiva, a volte persino vagabondante a un passo dal nonsenso. Nessuna delle due anime può prevalere, prevaricando l'altra. Fondamentale è trovare sempre l'equilibrio fra esse. Se la prima ha campo vinto, ci ritroviamo prigionieri della rigidità. Se invece s'impone troppo la seconda, è un attimo cadere nel caos puro.
Una bella sintesi di queste considerazioni la possiamo ravvisare nei numeri. Anche i numeri infatti possono essere caricati di una dose di affettività. Intorno ai numeri, nella storia, si è spesso giocato quel rimescolamento di confine tra il regno razionale e il regno istintuale, che albergano in noi stessi. La filosofia pitagorica, tutti gli studi cabalistici della tradizione ebraica, sono solo due esempi di come l'uomo sia sempre stato indotto a ricercare il mistero anche nell'ambito all'apparenza più lineare della "propria" realtà.

Non c'è nulla di più asettico e preciso dei numeri, eppure abbiamo sempre sentito quasi la necessità di investirli di una vaghezza enigmatica, che ce li riconciliasse con la parte nebulosa di noi stessi. Ecco allora l'uno come espressione dell'assoluto, il tre o il sette a indicare la perfezione, il tredici o il diciassette guardati un po' con sospetto, e così via.

Non ce la facciamo proprio a vedere i numeri come quantificatori puri. E per fortuna, aggiungerei. Sono convinto che i grandi matematici e gli studiosi che in genere hanno avuto ampiamente a che fare coi numeri nelle loro ricerche e scoperte, siano riusciti nei loro migliori risultati grazie al fatto di aver sempre considerato i numeri come veri e propri personaggi di storie appassionanti.

Anche le sole nozioni scolastiche ci supportano pienamente in questa suggestione. Ricordiamo ad esempio il fascino del "p greco", con la sua irraggiungibilità riflessa nel confronto fra due elementi del cerchio; oppure, la "bizzarria" dei numeri primi, che cadono a sorpresa lungo il flusso del conteggio, come capricciosi ospiti volubili.

In generale, possiamo dire che chi si sforza di guardare ai numeri come a delle entità "vive" e meritevoli di considerazione extra-quantitativa, può dirsi sulla buona strada nella ricerca di quell'equilibrio necessario a far convivere dentro di sé le due "anime" sopra ricordate.

I numeri sono come un abito, per il quale ciascuno deve trovare la propria taglia più adatta. Se è troppo stretto, ci soffoca, ci frena i movimenti, c'ingessa. Se è troppo largo, ci incespichiamo dentro, pestiamo una braga o ci scivola la mutanda.

Una cosa è certa: nudi dai numeri non possiamo stare, perché sarebbe come rinunciare alla nostra stessa mente, che è un'impalcatura contabile rivestita di strati d'affetto.


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