Per le nostre rubrichette incrociate di arte e moda, Kika ci propone ancora l’opera di un grande autore: “Una domenica pomeriggio sull’isola della Grande Jatte” (1884-86), di Georges Seurat (Parigi 1852 – 1891).
Questo quadro rappresenta una sorta di “opera-tipo” nella complessa indagine sul rapporto fra arte e scienza che il pittore francese intese sviluppare. Nel fervore scientifico-positivistico della seconda metà dell’Ottocento, gli artisti, e in particolare i pittori, si sentirono chiamati a interrogarsi sul ruolo della propria ricerca. La scienza metteva a disposizione nuovi strumenti per esplorare i significati dalla realtà, che a prima vista sembrava avrebbero ampiamente depotenziato (se non addirittura quasi annullato) gli spazi di manovra dell’arte. In particolare, gli elementi cruciali nel far scattare questa “crisi di identità” della pittura furono lo sviluppo degli studi sulla percezione e l’introduzione della tecnica fotografica. In pratica, “Una domenica pomeriggio sull’isola della Grande Jatte” può essere considerata una riflessione generale su tutti questi temi, tradotta in pittura.
Alla fine forse, l’importanza fondamentale di questo quadro sta in ciò che esso ci “dimostra” (usando il verbo in maniera didascalica e accessoria: l’arte in realtà non vuole mai “dimostrare” nulla). Ossia ci fa capire che l’arte rappresenta e rappresenterà sempre un percorso d’indagine privilegiato, un linguaggio attraverso il quale poter affermare cose che in nessun altro linguaggio si possono dire. Cosa, e “come”, ritrae infatti “Una domenica pomeriggio sull’isola della Grande Jatte”?
La scena rappresentata è inserita in uno “spazio mentale”. Le figure, gli animali e tutti gli altri elementi del paesaggio sono ricondotti al loro comun denominatore formale, e mutati in manichini geometrizzati. Lo spazio medesimo è ottenuto con l’innovativa tecnica del “puntinismo”, che sfruttava le più aggiornate conoscenze sulla luce come miscela di diversi colori (dove quella bianca è ottenuta dalla somma di tutti i colori). Non c’è allora più differenza tra i volumi solidi e l’aria in cui sono immersi: i corpi, il prato, l’acqua, l’atmosfera, tutto è reso come un continuo di luce pura. In questo modo, l’artista ci mette di fronte a un paradosso: applicando attentamente tutte le più recenti raccomandazioni della scienza, giunge a uno sguardo posato sulla realtà che solamente con la mediazione dell’occhio e del pensiero umano si può ottenere. In pratica, Seurat prende uno spazio reale e lo traduce nei termini “oggettivanti” di cui è capace il punto di vista umano. Ma questo è un percorso attraverso cui ci si può incamminare solo servendosi degli strumenti dell’arte.
Volendo, si può persino cogliere una nota ironica variamente distribuita per tutto il quadro. Seurat sembra divertirsi, avvertendoci qua e là, con bizzarri indizi, che in fondo in fondo ci ha anche presi un po’ in giro. La scimmietta al guinzaglio, l’uomo che suona la tromba, l’eccessiva “resa tubolare” di alcune figure (al limite del buffo, la donna seduta di spalle con la lunga fascia rossa in testa, dove si incrociano le diagonali della metà sinistra del quadro: ricorda più un paracarro o un cippo marmoreo, che una donna), il compiaciuto gioco intorno ai “lievitanti deretani alla moda” di alcune signore. Con tutti questi elementi, il pittore pare quasi voglia affermare sottovoce che l’arte non potrà mai essere imbrigliata da altre forme della conoscenza umana: le sue potenzialità di spaziare nel regno dell’imprevedibile e del “non altrimenti dimostrabile”, rimarranno sempre sua insostituibile prerogativa.
La ricerca di somiglianze col soggetto che oggi Kika ri-abbiglierà (la donna in primo piano sulla destra, proprio quella con la scimmietta al guinzaglio, per capirci) non è stata facile. Un po’ che la donna è di profilo, un po’ che il “puntinismo” ne intorbida i contorni…insomma, ho fatto quello che ho potuto e vi presento tre volti possibili.
Ecco il primo volto:
E’ l’attrice americana Erin Moran, nota soprattutto come interprete del ruolo di Joanie Cunningham, nel telefilm “Happy days”.
Ed ecco la seconda somiglianza:
Questa è l’attrice Irina Sanpiter: di origine russa, ma attiva spesso in Italia, è stata la rassegnata e dimessa consorte dell’insopportabile Furio (Carlo Verdone), nel film “Bianco rosso e verdone” (1981).
Infine, l’ultimo volto di oggi:
Abbiamo qui Francesca Nocerino, brava video-giornalista del Tg2.
E adesso l’appuntamento è sul blog di Kika, dove la nostra maghetta modaiola preferita ci “rivestirà” di nuovo la dama “iper-tafanuta” della Grande Jatte.
2 commenti:
Meno male che ci hai pensato tu ad approfondire il discorso artistico, io non ero riuscita neppure a fare un accenno :P Nei prossimi post mi ci metterò anch'io, tra qualche nota di colore e qualcosa di più serio. O semi-serio... che alla fine forse è proprio nello spirito di Seurat, come tu fai notare :)
I suoi personaggi mi ricordano delle figurine di legno, bamboline e soldatini che devo aver visto da piccola da qualche parte... ahhh ecco, ora mi è tornato in mente: un minuscolo tamburino di legno con il collo fatto a molla, colorato di bianco e rosso! Era un giocattolino che avevo in casa da bambina!
Certo che la mente è incredibile a fare associazioni tra elementi :))
Ps: somigliantissima la Irina, e azzeccato anche il sound spensierato e vacanziero della canzone che chiude il post :)
@->Kika: che forte il ricordo che ti ha sollecitato questo quadro, Kika :-) in effetti questi personaggi sono proprio dei bambolotti idealizzati :-) anche in questo l'arte è unica: nella sua peculiarità di evocare, di suscitare associazioni, di andare a "ravanare" (termine critico rigoroso :-) nel profondo :-)
Leggerò volentieri tutte le tue considerazioni artistiche prossime venture :-)
Bacini semiseri :-)
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