"Un pensiero al giorno"
40 - "Fare per accelerare il declino?"
Spesso nel corso della storia, l'uomo ha finito per scambiare talune sue convinzioni riguardo al senso del mondo, per valori assoluti, quasi dogmi indiscutibili. Perdendo di vista il fatto che qualsiasi tentativo di spiegazione della realtà rimane pur sempre un atto interpretativo, si è tante volte preteso di fondare verità indiscutibili, dove invece si consideravano soltanto punti di osservazione particolari e ben specifici.
Per riuscire a fare un po' di chiarezza di fronte a qualsiasi questione, la filosofia ci invita a "rasare la tabula". Azzerare il piano della riflessione, nel caso che la visione si sia fatta troppo complessa e ingarbugliata, per ripartire dai singoli "quanti" elementari di ragionamento.
Uno dei valori indiscutibili sui quali la nostra attuale civiltà rimane fermamente convinta di doversi fondare è l'idea del "fare". È dato per scontato, non passa quasi nell'anticamera della mente di mettere in dubbio, il fatto che intervenire sulla realtà per modificarla, sia cosa buona, giusta, positiva, da perseguire con ogni mezzo e possibilmente a gradi di intensità sempre crescenti.
Azzeriamo la tabula e domandiamoci in tutta semplicità: quale scopo avrebbe tutto ciò? Risaliamo ancor più la corrente e chiediamoci anche: cosa ci sta, o cosa dovrebbe esserci, "a monte" del "fare"? Una risposta ragionevole mi pare possa essere questa: il benessere dell'uomo. Ciò che conta è non sottoporre anche in questo caso la categoria di benessere a una distorsione simile a quella applicata al "fare". Così come il "fare", il benessere dell'uomo non può rivelarsi un assoluto. L'uomo non potrebbe vivere bene prescindendo dall'ambiente in cui è immersa la sua esistenza. In altre parole, l'uomo non può ignorare le esigenze del "mondo", oppure, detta in termini concettualmente ancor più estesi, non può vivere disconoscendo l'essenza del reale.
Il "fare" si svuota dunque di senso se non è a beneficio dell'uomo, e il presunto beneficio dell'uomo gli si ritorce contro, se inteso come scopo che non tiene conto dei vincoli posti dalla "natura" della realtà.
Procedendo ancora oltre, verso la fonte della questione, si può aggiungere un altro elemento. A cosa conduce una concezione malintesa del fare? Con un gioco di parole non privo di profondi appigli concettuali, si può dire che il "fare" divenuto scopo assoluto finisce per sfociare in una forma di "sopraffare".
Sopraffacendo la realtà, l'uomo sopraffà il mondo, e di conseguenza finisce per sopraffare se stesso in quanto parte imprescindibile, integrata, consustanziale, del mondo.
Ecco allora che le parole-succo di tutto il discorso diventano fondamentalmente due: "economia" e "ecologia". Entrambe si conficcano ben nel profondo del terreno etimologico con la stessa radice greca "eco", da "oikos", che significava "casa". Ma è nella seconda parte che si gioca la partita decisiva. "Nomia" viene da "nomos", ossia"regola". Mentre "logia" viene dal celeberrimo "logos", termine greco fondamentale e dalle mille sfumature, ma che per l'attuale ragionamento possiamo ottimamente vedere connesso al significato di conoscenza.
La civiltà attuale, col suo esasperato mettere l'accento sulla "economia", si ritrova a svolgere in forma smisurata il ruolo di chi vuole imporre regole al mondo. L'auspicabile strada da imboccare dovrebbe invece condurre verso una maggiore consapevolezza "ecologica", verso un atteggiamento di apertura conoscitiva nei confronti della vera natura del mondo. "Ecologia" dunque come atteggiamento di ascolto per conoscere le ragioni profonde di quella nostra grande casa comune che è l'essere.
<<...l'esclusiva attenzione all'ente ha determinato quell'"accadere senza patria" (Heimatlosigkheit) che costringe l'uomo a errare fra gli enti, in quel buio che si determina col sottrarsi alla luce dell'essere...>> ("Il tramonto dell'Occidente" - Umberto Galimberti - pag. 70 - Feltrinelli - 2010).
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