sabato 14 maggio 2016

"Un pensiero al giorno" 49 - "Il consesso dei sociologi gentili"

"Un pensiero al giorno"

49 - "Il consesso dei sociologi gentili"

Ci sono poche cose più fastidiose dei discorsi da bar. Forse giusto la sabbia negli slip sulla spiaggia con quaranta all'ombra. Forse chiudere la finestra la sera, prima di dormire, in maggio, e sentire una zanzara nella stanza. Forse, addirittura, una zanzara negli slip...

Ma come ogni cosa regolamentata dal suo mito, anche il discorso da bar presenta felici eccezioni. Una delle più belle mi è capitata di recente. Il bar in questione è una mezza baracchetta non molto lontano dal fiume. Ritrovo placido di vecchi ex pescatori, di neo anziani giocatori di briscola, e naturalmente di spericolati affabulatori, grandi acrobati del luogo comune.

Il "luogo-comunista" classico, se preso a piccole dosi, è anche apprezzabile. Naturalmente sempre considerato nell'ottica della spettacolarità delle fregnacce che spara. A volte si affonda proprio nel meta-stupore più puro, all'udire certi spropositi sesquipedali che riesce a sfornare. Ma dopo cinque minuti diventa un pizza inascoltabile, che gli pagheresti persino un fiasco di barbera purché la piantasse di cianciar vaccate.

Di tutt'altro tono invece ciò che mi è successo ultimamente. Ero immerso coi miei amici giusto nella fluviale baracchetta pseudo-osteria, a raccontarci come al solito facezie estemporanee, tra giochi di parole, battute surreali e commenti variopinti alle cose della vita. Nel tavolino di fianco, c'erano tre ometti.

Badate, uso la parola "ometto" nel suo senso più nobile, che pure le compete. Per me un "ometto" è un tipo pacato che aderisce alla vita cercando di smussarne gli spigoli più ficcanti. 
Un "ometto" si sagoma sugli eventi, plasmando se stesso un po' ai contorni dell'ineluttabile e un po' a quelli del meraviglioso che può venire.

Questi erano tre ometti attempati, parlavano con tono moderato, un volume di voce molto saggio. Intervallavano qualche frase in italiano ai generali discorsi in dialetto. Ma c'è un modo di parlare in dialetto, e a volte mi capita di sentirlo, che a ragione si può definire come espressione di cultura e profondità. I tre ometti parlavano un dialetto molto colto e meditativo.

Gli argomenti delle loro chiacchiere erano densi d'importanza, ma velavano ogni scambio di opinione con sorrisi di sapiente misura, forse per adeguarli al gusto che stavano assaporando di varie fette di salume e goccetti di rosso d'accompagnamento (sintomo fondamentale: l'ometto da bar beve rosso, l'ordinario "luogo-comunista" si ottunde l'opinione di bianchetti).

Pur continuando a dire la mia nella chiacchierata "a fin di vuoto" in corso coi miei amici, sbocconcellavo lacerti di frasi provenienti dal tavolino degli ometti, e mi son sentito risucchiare nel fascino delle loro meditazioni.

Non ascoltavo per "ficcanasesimo" puro, ma per rispetto reverenziale alla bellezza dei discorsi dei tre ometti. Con estrema naturalezza, pronunciavano punti di vista anche di una certa complessità, da non stupirsi a ritrovarli magari su un saggio di sociologia o di analisi politica. Eppure lo facevano senza infrangere la levità dell'atmosfera di sospensione spazio-temporale tipica del bar.

Dicevano ad esempio che l'automazione del lavoro aumenta di certo l'efficienza, ma fa calare il volume dei contributi pensionistici versati, con conseguente grippaggio del meccanismo. Dicevano che il capitalismo è un'organizzazione molto efficace nel creare ricchezza, ma altrettanto fallace sul piano della sua redistribuzione. A un certo punto, fra un fraseggio dialettale e l'altro, s'è insinuata persino l'altisonante spessore libresco della parola "plusvalore".

Naturalmente mi son limitato all'ascolto, ma avrei voluto chieder loro se potevo prendere appunti, o se mi firmavano un autografo col tubetto della maionese su una fetta di salame. Alla fine quella piccola commissione di saggi si è sciolta con la stessa fluidità calma dei loro discorsi, e osservandoli andarsene sui loro saggi passi di ometti di valore, li ho ringraziati tacitamente nel mio intimo, per quei preziosi attimi di semplice bellezza dialettica che mi avevano regalato.


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