"Un pensiero al giorno"
12 - "Il popolo dei gatti"
Nel bellissimo racconto "Il giardino dei gatti ostinati" (contenuto nella raccolta delle meravigliose storie di Marcovaldo), Italo Calvino parla di un'entità vivente, parallela a quella umana: "la città dei gatti".
Da estimatore di mici, il concetto espresso da questa locuzione mi ha sempre emozionato. La città dei gatti è una città dentro la città, che vive spesso gli stessi spazi degli umani, ma nel contempo occupa uno strato spirituale tutto proprio.
Da quando diversi anni fa iniziai ad appassionarmi al fascino di queste care bestiole, sono andato via via percependo la presenza felina nel mondo intorno, come una diffusa realtà "extra-particolare". In altre parole, vedo sì in giro questo o quel gatto specifico, il randagino che sonnecchia in uno smanco di mattoni nelle mura del vecchio rudere, il sorianetto tutto bello accudito dalla famiglia dei vicini, il micione in agguato per ore attorno a una buca di talpa, e così via...ma in generale percepisco questa diffusa presenza "gatteggiante" quasi come fosse una gradevole intercapedine di pelliccia ideale che fodera la realtà.
Il popolo dei gatti sta sospeso fra di noi, in una dimensione che solo a essi appartiene. Inutile per chi non è gatto sperare di avervi completo accesso. Agli umani è concesso solamente di affacciarsi per qualche fugace attimo e dare un'occhiata all'interno, rimanere abbagliati dal mistero che vi scorgono, e ritirarsi poi subito, incerti ancor più di prima sulla verità di quanto osservato.
Anche dopo averlo carezzato per un'ora, dopo aver ascoltato le fusa, tastato i deliziosi gommini sotto le zampe, ammirato a lungo la sua naturale eleganza in ogni gesto, il gatto rimane sempre un'idea.
Forse anche per questo, chi vuole bene ai gatti si innamora di volta in volta di questo o quel micio nel dettaglio, ma nella sostanza si sente vicino a una ben più vasta essenza universale felina.
Una volta lessi una simpatica definizione di Bruno Munari (geniale designer) che mi rammarico sempre di non aver annotato con precisione. Diceva grosso modo: il gatto è un'impressione morbida al tatto, che quando ci metti una mano può anche terminare in una sensazione conclusiva pungente.
Mutuando il bellissimo ritratto di Munari, mi piacerebbe allora azzardare una mia definizione dell'indefinitezza dei mici: il gatto è una coda dritta, colta svanire in un baleno dietro l'angolo di un vicolo, che se ti fermi a pensarci un attimo, giureresti su quanto ti sta più caro al mondo, di averla solamente sognata.
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