giovedì 21 aprile 2016

"Un pensiero al giorno" 29 - "Dialogo sopra i massimi terreni"

"Un pensiero al giorno"

29 - "Dialogo sopra i massimi terreni"

In italiano si chiamerebbe "ceppo", ma mi viene più spontaneo dire "sòca", in dialetto. "Sòca" è anche un modo alternativo per indicare rozzamente la testa. Se dici a qualcuno: "At ghè 'na bèla sòca", praticamente gli dai del "testa di minchia".

In giardino erano rimasti due ceppi di pino. Tagliati tanti anni fa, che ormai le piante stavano morendo. Un albero è relativamente facile da abbattere, ma te lo scordi di sradicare il suo ceppo. È ancorato alla terra con gran diffusione di appigli. Dal grosso delle radici fino ai loro baffettini più ramificati, il ceppo è come una vasta mano dalle mille dita che stringe forte la sua gran manciata di terra compatta.

Se non c'è allora particolare fretta e l'ingombro non dà troppa noia, il ceppo può rimane dov'è. I miei due erano piccoletti, ma bei tignosi e conficcati. Sono rimasti anni a prendersi piogge, nevi, rugiade, climi miti, martellate d'afa e fitte di gelo micidiali.

Stavano un po' fra i piedi, nel tagliare il prato, ma sempre col loro fare da ceppi discreti. Poi un bel momento, passandoci a fianco col rastrello, i denti di questo sono incappati in una radice affiorante, che si è levata con un sordo "crik-crok", molle come fosse di burro. Era giunto il momento di invitare i due ceppi vecchietti ormai, a mollare la presa in quella loro stretta di mano alla terra.

Potrà suonare esagerato, ma vi garantisco che è stata un'emozione. Armeggiando con vanga e zappa per scoprire il rimasuglio di radici, mi sembrava veramente di essere lì a convincere due vecchi amici, l'albero e la terra, a lasciare quel loro decennale mano nella mano.

Con un ceppo ("'na sòca"), lo so, non si scherza mai. Bisogna portargli rispetto sempre. Ho dosato le mie forze sulle sue residue resistenze, scoprivo piano il terreno, forzavo qua e là per capire dove la cedevolezza cresceva. Le dita delle radici mollavano piano l'appiglio, tra impercettibili frusci e scricchiolii legnosi. E poi, nel momento esatto in cui doveva essere, legno e terra si sono eruttati via, in placido abbandono. Un piccolo suono sordo nel distacco, e mi è parso di penetrare nel mistero che ci tiene attaccati alla terra. In heideggeriana suggestione, il rimasuglio d'albero era "l'ente" che si staglia contro "l'essere" sullo sfondo, ma senza mai poterlo abbandonare, perché nella sua ormai avanzata marcitura è già pronto a fare ritorno alla terra stessa.

Il frutto del mio lavoro erano alla fine alcuni blocchetti lignei spugnosi, invasi dalle formiche. Un focherello penserà a farne giuste porzioni di calore, fumo e cenere, da spartire un po' fra il cielo e la terra. Così la stretta di mano fra gli elementi non cesserà mai, ma avrà solo cambiato modi e forma.



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