domenica 10 aprile 2016

"Un pensiero al giorno" 18 - "Piccoli lampi di felicità linguistica"

"Un pensiero al giorno"

18 - "Piccoli lampi di felicità linguistica"

Certe parole le adoro, perché sono capaci di fondere insieme una sonorità elegante e il gioioso rimando innescato dal loro significato vero e proprio. A volte mi piacciono invece perché trovo il loro suono irresistibile, così, senza troppa preoccupazione per il senso.

Vado matto ad esempio per la parola "puzzola". Non ne ho mai vista una dal vero e mai gradirei trovarmi nel raggio d'azione delle sue ire gassose, ma questo per me è proprio uno dei casi in cui la grazia della parola si riverbera in simpatia sulla bestiola relativa. Fra i miei beniamini, c'è anche il termine "fuffa": una delle etimologie possibili pare essere "garbuglio di fili", da una parola d'origine toscana ancor più bella, "fuffigno".

Mi strapiacciono tante parole legate a parti del corpo umano. Qui il significato gioca un ruolo decisivo, ma non sempre. Irresistibile è "pancia", una parola che solo a sentirla pronunciare o a vederla scritta, ti mette il buon umore. Di stratosferica bellezza anche "tetta", una parola, mille mondi: l'infanzia, la sensualità, la vita, l'eros. A tal proposito, per dimostrare di non essere "di parte", bensì di stare facendo un discorso sulle pure parole, aggiungo che non mi garba tanto la parola "capezzolo", pur ammirando a dismisura il corrispettivo anatomico concreto reale (e femminile).

Sempre in ambito corporale, mi piacciono un sacco "peli", "alito", "polpastrello", "pollice" e "mignolo" (meno gli altri tre, anulare e compagnia, hanno nomi troppo burocratici).

Una delle parole-meraviglia più intense per i miei gusti deriva sempre da "pelo" o "peli", anche se esula dall'umano in senso stretto. Mi riferisco a "pelliccia": non so come mai, ma "pelliccia" mi fa letteralmente impazzire (sempre e rigorosamente se immaginata indosso al corrispettivo animaletto vivente). "Pelliccia" è gioia verbale concentrata, con tutte le sue varianti ancor più acrobatiche per profilo sillabico: "pellicciotto", "pelliccetta", "pelliccione", oppure anche sotto forma di neologismi che non fanno troppe difficoltà nel lasciarsi creare, come"pelliccioso", "pelliccevole", "pellicciato", "pellicciardo", e come questi se ne possono creare a volontà.

L'italiano è già una lingua strepitosa di suo, e poterla parlare da "nativo" credo sia uno dei più grandi privilegi che possano toccare in sorte su questa terra. Ma a volte penso di avere una particolare fortuna nella fortuna, a essere un parlante italiano, perché mi offre il gusto di poter pronunciare la parola più bella al mondo per indicare una delle bestioline a me più care: il "gatto". Tra "gatto" e "pelliccia" non so quale mi rapisce di più. La "pelliccia"del "gatto" è il massimo dei massimi espressivi.

Si danno poi casi di parole non propriamente esaltanti per il significato, ma molto simpatiche in virtù di un equivoco non detto, serpeggiante in sottofondo. Suonano infatti simili ad altre parole, seppur del tutto diverse; magari sembrano una loro versione stropicciata, e ne nasce una giocosa confusione. Un esempio è "posticcio". Non indica nulla di lusinghiero, dà un'idea di fasullo, di camuffato. Eppure, confuso con la parola "posto" (che di certo etimologicamente c'entra qualcosa), può suggerire espressioni scherzose, tipo: vieni che ti porto in un bel posticcio.

L'elenco di parole fascinose sarebbe sterminato, ma non voglio dilungarmi oltremodo. Chiudo allora con una raffica di commiato, come nella miglior tradizione degli spettacoli pirotecnici: "rimuginare", "fluitato", "ciccia", "sciabordio", "donnola", "ricciolo", "gaudio", "afrore", "orso", "donna", "sciorinare", "sfiato", "furetto", "pertugio", "lontra", "schioppettata", "zibetto", "giubbotto", "gigioneggiare", "moffetta" (altrettanto bello di "puzzola"), "liuto", "coda", "faina", "muschio", "olezzo", "insidia", "lattonzolo", "sinfonia", "primula", "ghiro", "miscellanea", "borborigmo" e, per armonica conseguenza, "scoreggia".


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