"Un pensiero al giorno"
17 - "Al riparo di una cappa di nulla sottovuoto"
Ci sono giornate che dal cielo viene giù il massimo dell'indecisione, sotto forma di pioggerellina a singhiozzo. Il tempo si rotola stancamente sul suo divano di nubi grigie e latte, in un ondivago "piovo-non piovo". Quando questo diffuso sentimento etereo coglie a terra talune personalità che hanno fatto della titubanza quasi una filosofia di vita, ne conseguono buffe cose.
Per chi è solito spostarsi in bici, si pone il primo arduo dilemma: portarsi dietro o no l'ombrello. A me due gocce in realtà non darebbero fastidio (se rimane nei patti che si limitino a due). "...Rain rain rain / I don't mind / shine shine shine / the world is fine..." non a caso sosteneva il poeta ("Rain" - The Beatles - 1966).
Il cruccio maggiore è per gli occhiali. Non sopporto che si infiocchettino di pallini umidicci. La mia condotta etica di uomo della pioggia, al primo articolo del proprio codice, recita dunque: ombrello sempre.
Il fatto è che con la pioggia molto rada, si esce spesso dallo stradello di casa mentre cadono dieci gocce a chilometro quadro, e dopo ventitré pedalate di numero, l'elargizione pluviale cessa del tutto.
A quel punto, secondo amletico dissidio: chiudere l'ombrello oppure proseguire nel proprio vagare a paratia spalancata, rinfocolando vieppiù la nomea di fesso accreditato, conquistata con anni di condotta da irreprensibile individuo assai poco normale?
Quasi sempre scelgo la seconda soluzione: la mia marcia continua fieramente a ombrello sbandierato a riparo del nulla. Non solo per la pigrizia di fermarsi e chiuderlo. Ma per una motivazione più intima, legata al desiderio di porsi in sintonia con le onde armoniche del surreale puro.
Anche se non portano al suolo nulla di idrico infatti, queste giornate dal tempo temporeggiante recano con sé di solito un'aria alquanto fresca. Sotto il tubo volumetrico di quel tetto di tela con frange a lembo di pipistrello, si forma allora un'immaginaria cabina di tepore.
È bellissimo proseguire la pedalata nella fierezza di ostentare la propria stupidità agli occhi dei passanti. Perché se già fare una cosa inutile può riempire d'orgoglio, farne una poetica aggiunge un valore inestimabile al gesto.
E ci vuole un attimo a quel punto a pensare di essere un "supereroe termico" protetto dalla sua cortina di protezione, in grado, fra le tante sue speciali proprietà, di frapporsi alle frequenze del visibile. La tentazione del fantastico sfiora vette tali, che ancora un po' e ci si azzarderebbe a far gestacci o smorfie assortite, oppure ad aprirsi la patta di fronte a chiunque s'incontri, tanto intensa è ormai la "quasi certezza" di non poter essere visti da nessuno.
Alla fine, giunge puntuale e impagabile la soddisfazione di sapere che la gente ti ha contemplato come un idiota vagante ad ombrello aperto per "non bagnarsi di asciutto", mentre invece stavi solo completando una tappa del tuo tour di ciclo-poesia.
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