mercoledì 6 aprile 2016

"Un pensiero al giorno" 14 - "Il farsi sera come prospettiva interiore"

"Un pensiero al giorno"

14 - "Il farsi sera come prospettiva interiore"

C'è un passaggio della giornata che sento quasi sempre come il più prezioso e filosofico di tutti. Stranamente non saprei indicarlo con un'ora precisa, ma piuttosto lo individuo con un'impressione. Questo momento del giorno lo chiamo "quando si fa sera". A seconda dei casi, può essere alle sette, oppure a mezzanotte. Ha a che fare con l'idea di sera in generale, ma capita un po' a sorpresa. L'importante è che ogni sera capiti.

Forse non per caso, uno dei capolavori della letteratura moderna, la Recherche proustiana, inizia così: "...Per molto tempo, mi sono coricato presto la sera...". Proust colloca proprio nei momenti che precedono il sonno, quella "dimensione di frontiera" così speciale per l'animo dell'uomo. E l'opera di una vita ha voluto fondarla proprio sul "farsi sera".

Che sia stata una giornata lieta o travagliata, serena o affannosa, "quando si fa sera" si rientra in porto. Cessano i marosi oppure l'illusoria impercettibilità delle onde di bonaccia, e si assapora un senso di completezza, comunque la si sia guadagnata o portata a casa.

Da "quando si fa sera" in avanti, interviene una diversa percezione del tempo e dell'essere in genere. Tutto si distende, si dilata, assume vastità. Si lascia germogliare dentro una nuova riconciliazione col silenzio. La coscienza può riporre gli attrezzi usati durante il giorno per calcolare, misurare, lambiccare la vita. Ci si scopre reinventati.

Se si è bravi ad addentrarsi nell'essenza del "quando si fa sera", il buio o la penombra di quegli attimi possono diventare fonti di luminosità assai più intensa di quella riservata da un sole a picco sopra la testa. Il buio si fa amico, fratello, presenza buona, amante (femmina o maschio, a seconda...anche se non importa più di tanto, da che si è fatta sera).

"Quando si fa sera" c'invade il sollievo di poter vedere e lasciar sussistere finalmente i contorni delle cose con meno nettezza. Il "quando si fa sera" bisogna essere capaci di accoglierlo. Saperlo fare è un esercizio di umiltà.

Il "quando si fa sera" ci dà il termine di paragone per soppesare la nostra piccolezza di fronte al mistero del mondo e della vita. Lasciando che "si faccia sera", ci si pone in una prospettiva socratica di ascolto verso l'essere.

Per questo, nell'animo dei superbi, dei superficiali o di chi pretende di stringere già saldamente il sapere in pugno, non si fa mai sera.



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