PARTE SECONDA: “ipocrisia pubblicitaria”
Come ho cercato dunque di raccontare, lo scrivente secondo la “forma calamis” porno-narrativa è colui che calca l’accento sugli aspetti quantitativi della vita, esasperando a tale scopo il gradiente “iper-emotivo” del materiale narrato. Il “porno-narratore” scrive come se l’identità umana si reggesse esclusivamente sul dato dell’emozione pura, volendo quasi far credere che tutte le altre dimensioni dell’essere, non sussistano.
Proprio intorno a questo aspetto, è imperniata la seconda immagine metaforica che, integrando la prima, mi sembra consona ai rischi di un certo modo di scrivere: la scrittura da “ipocrita pubblicitario”.
Per spiegare questa metafora, mi rifaccio all’impressione che non di rado si prova, nel seguire talune trasmissioni o programmi, proposti da certe emittenti tv cosiddette commerciali. Mi riferisco a quel più o meno vago (e talvolta insistente) sentore che si percepisce, di atmosfera da vendita a tutti i costi. Questo fa parte naturalmente delle regole del gioco, perché quel tipo di televisioni si reggono in piedi appunto sulla logica pubblicitaria. Ma ci sono canali che spingono il meccanismo all’estremo, contaminando i contenuti stessi di tutta la programmazione, con quel clima da “mercato continuo”. Se dunque lo scopo primario è vendere e far vendere, e tutta la realtà deve venire livellata sulla dimensione commerciale, lo spettatore ideale di tutto ciò è una persona perennemente desiderante, è proprio lo stesso «uomo a una dimensione» (indegnamente parafrasando Herbert Marcuse) già tratteggiato anche dalla pornografia, ossia l’uomo fatto solo di emozione e tutto reazioni di pancia.
La natura del fenomeno si evince con evidenza particolare da un certo modo di confezionare i programmi di informazione (telegiornali e simili), che talune televisioni commerciali cavalcano a tutto spiano. L’evidenza viene assegnata quasi sempre ai fatti di cronaca nera, presentati con una costruzione narrativa degna di una sceneggiatura da film giallo o da thriller. Si calca la mano sui risvolti commoventi, melensi, sorprendenti, ma anche morbosi, pruriginosi, intimi, di quei fatti.
Altro materiale che simili telegiornali macinano di gran lena, è l’immagine individualistica della persona. L’«homo oeconomicus» che deriva da tali ritratti (o forse sarebbe più preciso dire «homo commercialis»), è un uomo tendenzialmente solo (o tutt’al più inquadrato nella cerchia ristrettissima degli affetti più privati), con un concetto quasi assente della collettività, la quale è anzi vista e presentata come un contesto pressoché ostile, entro il quale ci si deve fare strada con le proprie forze di “competitore emotivo”.
La cosa è particolarmente evidente nel caso dei notiziari o telegiornali vari, ma ad un’attenta analisi, ci si potrà rendere conto che più o meno subdolamente essa serpeggia come sottofondo anche in altri tipi di trasmissioni proposte dalle tv commerciali. L’individuo deve essere quasi esclusivamente “desiderante”, per meglio attagliarsi a un tipo di realtà in cui si mira a far prevalere la logica monodimensionale del rapporto economico come unico fondamento del reale. E tutto questo, se non fosse così dannatamente serio, alla fine non si potrebbe nemmeno dire privo di risvolti tragicomici. Perché se ci si pensa bene, l’intero mastodontico “impianto drammaturgico” viene messo in piedi per partorire il topolino della maggior vendita di qualche pannolino o merendina.
Cosa c’entra questo discorso (al pari di quello della “pornografia narrativa”) con la scrittura? C’entra nel seguente senso: per chi scrive, esiste il rischio, l’insidia, di mettersi a scrivere come un “ipocrita pubblicitario”. Il rischio ossia di trattare il lettore come un individuo esclusivamente desiderante, puramente emotivo, con in bocca perennemente la goccia di acquolina della compravendita esistenziale, eletta a norma unica di determinazione della propria identità.
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